La tabella è sacra. La tabella rassicura, indica la strada, decide lei per te. La tabella ha un'aura di saggezza, di carisma, di esperienza. Tu decidi dove, lei decide come. Tu decidi quando e lei decide quanto. Poi accendi il gps e vai.
Motivato dagli obiettivi e dal piacere dell'atto in sé, il corpo si adatta, prende il ritmo e ti segue. Di solito. Oggi meno.
Oggi la tabella diceva 16. Sedici chilometri è il più lungo degli allenamenti infrasettimanali previsti nelle sedici (e daje) settimane su cui è scandita la mia preparazione per la Maratona di Roma. Infrasettimanali, dicevo, perché gli allenamenti del weekend sono un'altra cosa. Quelli si chiamano LUNGHI. Quelli prevedono 16 chilometri come entry level, figuriamoci. Poi vanno a salire, su, su, su fino oltre i 30.
Lunghezza rognosa i 16 da infilare in un giovedì qualsiasi. Troppi per infilarli in una pausa pranzo, troppi per la sera, visto che oggi dovrò testare il piatto da presentare alla gara di cucina di sabato. Operazione delicata, che richiede tempo, organizzazione ed energie. Perché alla Maratona si partecipa, ma alla gara di cucina bisogna vincere...
La fortuna mi è venuta incontro: stamattina niente Cologno ma anteprima in centro alle 10.30, comoda e perfetta per infilarci una corsa prima, anche una 16 k. Ieri sera preparo l'abbigliamento da corsa e lo metto lì, invitante, sul divano, pronto ad essere indossato. Mossa che risponde ad un regola base: già correre presto al mattino è una tassa (e farlo a metà gennaio è è una tassa con tanto di interessi di mora), se ti devi mettere anche a ravanare nell'armadio a cercare i vestiti è un attimo ritrovarsi nuovamente a letto. E ciao ciao uscita.
Mi vesto. Per ritardare l'impatto con il freddo faccio stretching in casa. Poi non ho più niente da fare, a meno di ingegnarmi nel tracciare un tracciato sufficientemente vario ed ameno per fare i 16 km all'interno del mio appartamento da 40mq (comunque l'idea non è del tutto peregrina, i criceti ce la fanno in condizioni più estreme)
Sono fuori, direzione Naviglio Grande, il mio running trail preferito in assoluto. Oggi non c'è. Con una dose sufficiente di memoria e fantasia lo si può però immaginare e intravedere nella nebbia che ricopre acqua, case, ponti, qualsiasi cosa. I pochi runner presenti emergono dallo sfondo bianco come spettri in un horror di terza fascia. E sembrano, in effetti, poco più vivi. Gli sbuffi di fiato che emettono diventano una cosa sola con la nebbia, la compattano.
Sembra un'incubo, ma devo ammettere che per chi corre non è poi così male. Sei ovattato, ascolti i tuoi pensieri e i messaggi del tuo corpo. Non devi dribblare le bancarelle dei cingalesi e le coppie con Labrador che okkupano l'Alzaia nel weekend.
Dopo quattro km di corsa nel bianco, con un buon ritmo e buone sensazioni iniziano i problemi. Laggiù. Cazzo, merda.
Ecco, ha più a che fare con la seconda che con il primo.
Nella mia breve carriera di runner ho sperimentato crisi di fiato, dolori muscolari, crisi di fame e di sete, ma questa è nuova. Che culo.
(la smetto con i doppi sensi, adesso)
Arranco un altro km, arrivo a Corsico. Decido che non è il caso di andare oltre. La tabella si arrabbierà. La tabella mi guarderà con disgusto. La tabella mi considererà un debole. La tabella la userei come carta igienica in questo momento, quindi sticazzi.
Segue un ritorno a casa che non metterei tra i dieci momenti più belli della mia vita. Dopo un po' cammino, perché è l'unica cosa che riesco a fare. Bella, bellissima una camminata sul Naviglio alle 9 del mattino del 13 gennaio, con una giacchina leggera da corsa a contrapporsi come unico baluardo tra il gelo esterno e il vulcano interno.
Mi concentro su pensieri di riscatto: in qualche modo quest'onta andrà lavata. Guardo il gps, ho corso 8 km, ce ne sono altrettanti da recuperare per sperare che la tabella mi perdoni. Penso a svariate punizioni: sostituirlo con il corso di Cycle Indoor domani in palestra, aggiungerli al lungo di domenica (seeee). Fino a che arriva l'illuminazione: trasformare l'incidente in opportunità, per provare qualcosa di mai tentato prima. Il doppio allenamento giornaliero. Avevo sentito qualcuno che lo faceva e di solito era qualcuno di quelli seri. Questo pensiero pompa la mia autostima, vince i crampi, mi permette di arrivare salvo a casa.
Lo metto in pratica al mio arrivo in ufficio alle 13: vado in palestra, salgo sul tapis e faccio gli altri 8. Missione compiuta. Onore salvato.
Mentre corro la seconda tranche immagino anche a come presentare la giornata ai miei nuovi lettori del blog (cioè essenzialmente a Carlo, credo). Ho la tentazione, forte e seducente, di raccontare semplicemente che oggi io, vero runner, vero figo, molto no limits, ho fatto DUE allenamenti così, per scelta, per mettermi alla prova, perché uno solo mi fa una pippa.
Non sarebbe stata una menzogna in fondo, solo una porzione di verità.
Ma poi mi dico che iniziare le pubblicazioni con una balla (sì, nel frattempo mi sono convinto che sia una balla a tutto tondo, con questa cosa della porzione di verità non avevo convinto nemmeno me stesso), non sarebbe stato correttissimo.
Mi dico che sì, è vero che questo blog è una specie di organo di partito mio e di Carlo e non un New York Times cui si richieda obiettività e che probabilmente Travaglio non si sarebbe mai speso per verificare l'attendibilità di ciò che scrivevo, però...
Mi dico, soprattutto, che la cacca fa sempre ridere.
Lo dice anche lui, quel mio amico.