venerdì 25 marzo 2011

Charlie e la Maratona (di Roma) - parte prima

Quattro giorni che sembrano quattro minuti.
Non sono ancora tornato da Roma, non con la testa. E anche il fisico l'ho lasciato giù nella Capitale. Stiracchiato, grattuggiato e spalmato lungo Quarantadue chilometri di asfalto e San Pietrini.

Già ho pubblicato alcune foto, adesso provo a raccontare cosa è successo durante la mia Maratona. Le quattro ore e cinquanta minuti di domenica non esauriscono la Maratona. La Maratona inizia prima. Ben prima, perfino, dei tre mesi di allenamento. E non termina sulla linea del traguardo, lo travalica e ti segue.

Inizio quindi da lontano (potrei annoiarvi ancora di più e tornare indietro di una quindicina d'anni, ma...). Esattamente dal 19 settembre 2010. è domenica, sono le undici e mezza della mattina. Ventuno chilometri di parco di Monza sono alle mie spalle. Li ho percorsi in un'ora e quarantasei minuti e sono al settimo cielo. Un buon primo tempo ed un mese per arrivare a correre la Mezza Maratona di Cremona insieme a Cristiano.
Nell'entusiasmo totale dei giorni seguenti, lo convinco a mettere in programma la 33 chilometri Milano-Pavia di Novembre. Inespresso, solo accennato, buttato lì quasi per scherzo, c'è il pensiero che fatti 33, altri nove li aggiungi facile. Poi il primo infortunio. Salto Cremona, salto anche la Milano-Pavia. Ancora quasi due mesi dopo, se appena accennavo un passo di corsa, mi bloccavo.

Ma il germe era stato piantato. E quando Cri, a dicembre, mi ha detto: "corriamo la Maratona a Roma", ho risposto di sì. Anche se non correvo da mesi, anche se mancava poco, anche se sapevo che non sarei riuscito a prepararmi a dovere. Ce lo eravamo promessi a vicenda. Correremo la nostra prima maratona assieme. Non poteva essere altrimenti. Devo la mia Maratona a quella promessa.

Tre mesi di freddo, gelo, dolori articolari, contratture, farmaci, sudore e dubbi dopo, mi ritrovo, un venerdì sera, su un aereo diretto a Roma. Unica certezza è che la domenica sarò alla partenza.

La Maratona è stata una lunga due giorni (e mezzo), fatta anche delle melanzane ripiene (a mezzanotte di venerdì) di mia Zia Alba, del bicchierino di Jagermeister bevuto con lei la sera, delle chiacchiere con le mie cugine (le ho trovate davvero cresciute. Le ricordavo proprio bimbe), dei lunghissimi passaggi in macchina cui ho costretto lo Zio Andrea. Mi sono intrufolato nella loro quotidianità allo scopo di correre la mia Maratona e loro si sono adattati. Anzi, mi hanno quasi guardato con un misto di rispetto ed ammirazione. Grazie mille, anche se non leggerete mai questo post, vi voglio bene.

Sabato mattina vado a fare una corsetta. Cristiano mi ha vivamente sconsigliato di farlo, ma sono più di dieci giorni che non corro e voglio sentire le gambe. Esco con la Zia. Porto il GPS perché lei vuole sapere quanto corre. In totale facciamo un chilometro e mezzo camminando e un altro chilometro correndo. Un'inezia, ma ho assaggiato il terreno, sono pronto.

Banco frigo
Finisco in un supermercato a fare la spesa per il pranzo e vedo il seguente banco frigo. Non ne avevo mai visti di simili prima. In quel modo ero abituato a comprare le caramelle al cinema , non il pesce surgelato.
Comunque sia, la tappa serve a recuperare la materia prima per il primo di tre pasti memorabili. Non sono ancora riuscito bene a capire quale parte della frase "No Zia, devo stare leggero, non fare nulla di speciale,  che poi domenica non riesco a correre" non sia arrivata a destinazione, ma dopo il terzo bicchiere di vino non me ne importava più niente.

Verso le tre e mezza del pomeriggio mi incontro con Cristiano e la Bionda al Palazzo dei Congressi, dove è stato installato il Marathon Village. Fino a quel momento era ancora tutto un po' irreale, poco concreto. Dopo aver ritirato zaino e pettorale,  invece, è come sorta una specie di obbligazione a presentarsi il giorno dopo, e far vedere che sei lì perché ce la puoi fare. Tendo ad abbracciare Cristiano in modo eccessivo, soprattutto considerando che la Bionda ci osserva, e non vorrei salutarli, ma rimanere con loro il più a lungo possibile. Il commiato segna la fine della giornata, scatto alcune foto al Colosseo ed alla finish line, poi torno all'ovile.

La sera, dopo aver mangiato chili di pizza e bevuto due birre, mi porto avanti. Non l'ho mai fatto. Ma devo smontare la tensione. Attacco il pettorale. Per chi non lo sapesse, nessuno è riuscito ancora a inventare un metodo più pratico di quattro mini spille da balia con le quali perforare il pettorale e la maglietta. Pensateci, in ogni busta con pettorale ci sono quattro mini spille. 16.000 buste per quattro spille. Un'enormità.

Camion deposito zaini

La mattina della domenica ho puntato la sveglia alle sei. Non fa in tempo a suonare che sono già pronto. Bello vestito alle sei meno un quarto. Per colazione mangio uno stick di gelatina che sa di Arancia. Alle otto arrivo all'appuntamento con Cristiano. Tiro fuori il secondo stick di gelatina all'arancia e mi mangio pure a quello. Nel frattempo intorno a noi passa gente di ogni nazionalità e fattezze. Quando decidiamo che è il momento di scaldarci e ci infiliamo fra la folla, la temperatura sale improvvisamente di qualche grado. Lasciamo gli zaini nel camion dell'organizzazione e partiamo per una breve corsa di riscaldamento.


Sono quasi le nove meno un quarto e decidiamo di avviarci vero le gabbie di partenza. Non solo siamo nell'ultima gabbia a un passo dagli anzianotti che la faranno camminando, ma siamo persino molto indietro, la linea di partenza è nascosta, dietro una curva.
Ci guardiamo e vedo negli occhi di Cristiano riflesso quello che sento. Emozione, tensione, paura, orgoglio.
La massa inizia a muoversi, da qualche parte avanti è stato dato il VIA.

continua

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