mercoledì 27 aprile 2011

La Marti

Sono nato vicino al Po. Sono cresciuto in riva al Tevere. Poi sono stato catapultato dagli eventi a Milano, a 8 anni, nelle lande desertiche della zona Fiera. La cosa più simile ad uno specchio d'acqua erano le pozzanghere lacustri che si formavano quando pioveva per più di mezzora di fila, grazie all'efficientissimo sistema di tombini della città. Lo stimolo olfattivo più acquatico proveniva il giovedì e il sabato dal banco del pesce del mercato di via Osoppo.
Stupida pianura padana.
Stupidi branzini.

Il desiderio d'acqua, di averla accanto come compagna silenziosa mentre mi dedicavo ad altro, è rinato soprattutto con la corsa. Il Cristiano runner, quello che ha osato uscire dalla mezzora di sgambatina al parco per avventurarsi verso distanze che allora parevano ambiziose e quasi proibitive, è nato indiscutibilmente sul Naviglio Grande. Grazie al Naviglio Grande, oserei dire. Le mie prime Mezze sono state costruite lì. Per il primo viaggio oltre la Mezza, la 33km Milano-Pavia, mi sono spostato di pochi metri, sul Naviglio Pavese. Poi è cominciata la sfida della Maratona di Roma: 16 settimane e 15 lunghi, ogni domenica, corsi quasi tutti sul Naviglio. Sempre più lontano, verso Corsico, Trezzano, Gaggiano. Sempre sulle sue rive, che si facevano sempre meno popolate man mano che ci si allontanava dalla città: si partiva dal chiassoso popolo dei locali della Darsena e si finiva da soli, nella nebbia della campagna. Come unici compagni i pensieri e la voglia di arrivare fino a Roma. E lei, l'acqua. Non limpida, non potabile, non nuotabile. Inutile per tutti. Tranne per me. Io correvo, lei scorreva. Ci allenavamo insieme.

L'acqua del Naviglio Grande mi ha portato fino a Roma. Poi una volta lì, al traguardo, mi ha dato una pacca sulla spalla - è inevitabilmente umida la pacca acquatica, ma tanto ormai ero sudato fradicio pure io - e mi ha detto che ero stato bravo. Che era fiera di quello che avevamo costruito insieme e che era stata orgogliosa di (s)corrermi accanto. Con gli occhi lucidi - facile però produrre lacrime, quando sei acqua - mi ha detto che ora ero libero di frequentare altre acque, altri navigli, fiumi, mari. Persino laghi. Non sarebbe stata gelosa. Tanto era stata lei a sverginarmi come runner, con le altre non sarebbe mai più stata la stessa cosa.
Ho evitato di dirle che l'avevo già tradita con i lungomare di Catania, Cannes e Santa Monica. Non era il momento.

Due settimane dopo la Maratona di Roma, con una coincidenza temporale che sembra scritta apposta, ho cambiato casa e mi sono trasferito da Ticinese a Porta Venezia. L'amata acqua del Naviglio Grande smetteva davvero di poter essere la mia compagna fissa di running, per problemi logistici. Ho rispettato quasi un mese di lutto per commemorarne l'abbandono. Poi mi sono messo a corteggiare un'altra.
Eh, sono uomo.
E sono runner.

Adesso sto con la Marti.
La prima settimana l'abbiamo fatto tre volte.
La Marti è speciale, perchè mi segue anche al lavoro. La Marti abita vicino a me e correre da lei è abbastanza comodo. Sta in Melchiorre Gioia. La prendo lì, tra i cespugli e le panchine. Poi ci infrattiamo sempre più in là, verso viale Monza e via Padova. Quando siamo proprio in forma rimaniamo avvinghiati fino a oltre Cascina Gobba.
Oppure ci dedichiamo ad una fuitina in pausa pranzo, perchè la Marti sta anche qui a Cologno.
Ci incontriamo a due passi da Mediaset, poi scappiamo insieme verso Vimodrone e Cernusco sul Naviglio. Ci piace farlo all'aperto, dopo una stagione di tapiro urlante.

La Marti ha anche altri giri. Lo so e non ne faccio un dramma.
Perché tanto permette solo a me di chiamarla così.
Per gli altri è semplicemente, prosaicamente, la Martesana.

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