venerdì 25 marzo 2011

Charlie e la Maratona (di Roma) - parte seconda

segue

Per i primi quattro chilometri circa corriamo assieme. Poi un cenno di intesa, ci stringiamo la mano e ci separiamo. Per una decina di minuti ancora vedo la maglia rosa di Cristiano, poi la folla ci separa definitivamente.

Solo. Per i prossimi 37 e passa chilometri e chissà quanto tempo.

Inizio a guardarmi intorno, decido che posso raggiungere i palloncini delle quattro ore, tanto di tempo per rallentare ne ho quanto ne voglio.  Più o meno a questo punto incontro due enormi danesi che mi accompagneranno per circa 25 chilometri. O meglio, ogni tanto vedo lo sguardo perplesso di uno dei due che, muto, si chiede cosa voglia questo strano tipo di nero vestito che gli si è appiccicato al culo.
Faccio tutto per bene, ogni cinque chilometri bevo una bottiglietta d'acqua e ingurgito una pastiglia di carboidrati. Poi dal quindicesimo inizio anche a mangiare le arance e le mele. Il ritmo è costante. Seguo i due danesi. 

L'arrivo in Piazza San Pietro è da brividi. La Basilica si staglia da lontano e si solleva progressivamente sino a riempire l'orizzonte e lo sguardo. Tutta la strada, per la sua intera larghezza di quasi 30 metri è solo per noi. C'è addirittura chi si ferma per fare qualche foto ricordo. Mi passa vicino un tizio vestito da Puffo, che poi si ferma a farsi le foto coi turisti.

Improvvisamente sento una fitta al ginocchio sinistro. Ma sono preparato. Tiro fuori una delle due pastiglie di Momendol che mi sono portato dietro e la ingurgito. Col senno di poi ne avrei portate il doppio. Passano quelli che sembrano ancora pochi chilometri e arriviamo alla Mezza Maratona. Guardo il cronometro ufficiale, segna Due ore e tre Minuti. Il mio GPS mi dice che da quando l'ho fatto partire, sulla linea di partenza, sono trascorse Un'ora e Cinquantatrè minuti. Completamente inaspettata, cala la consapevolezza di essere appena a metà. Se tutto fosse andato bene, avrei dovuto correre per almeno altre due ore. Penso al fatto che non sono stanchissimo, ma che il doppio della stanchezza accumulata sinora è proprio tanto. Vedo uno vestito da Suora che zompetta di fianco a me. Un corridore gli chiede se sa che c'è una suora vera che corre la maratona. Lui risponde che è sua sorella e che corre vestito così per lei.

Inizio a fare progetti a breve termine. Intanto arriviamo ai trenta, mi dico. Poi ci penseremo. Il fattaccio accade al 26esimo chilometro. Non riesco a prendere la bottiglietta d'acqua al volo e devo fermarmi. Immediatamente divento tutt'uno con l'asfalto. Il ginocchio sinistro non si muove più. Arranco verso uno spiazzo e faccio stretching. Dopo un paio di minuti riesco a riprendere a camminare, poi di nuovo trotterello, e infine riprendo a correre. Ma oramai le gambe hanno accusato il colpo. I polpacci iniziano a contrarsi involontariamente. Il ginocchio è rigido e fa un male cane. Devo camminare, e pure piano.

Ero arrivato al venticinquesimo chilometro in due ore e 25 minuti. Arriverò al trentesimo, soli cinque chilometri più avanti, dopo TRE ore e sedici minuti. Un'ora per fare cinque chilometri. Intanto iniziano a passarmi di fianco i palloncini dei pacemakers. Passano le quattro ore. Poi le quattro ore e un quarto. Quattro ore e mezzo. Mi superano perfino quelli delle quattro ore e quarantacinque minuti. Sta diventando una disfatta. Nel frattempo, però, ho ripreso a camminare spedito e ho mangiato quantità industriali di banane e mele e pere. Ho anche bevuto litri di gatorade e la cosa sta iniziando a fare effetto.

I chilometri sono diventati circa 33, mi trovo in un Tunnel e una tizia mi passa di fianco urlandomi che oramai mancano solo 9 chilometri. Le credo e riprendo a correre, dopo cento metri lei si ferma. Io vado avanti. Non mi fermerò più. Farò un pezzo di strada con un padre che spinge il figlio tetraplegico in carrozzina, rivedrò il puffo e per un po' correrò con uno travestito da Italia e la bandiera in mano.

Nel frattempo sono ritornato in centro. Piazza del Popolo è stracolma di gente, Piazza Navona e Piazza di Spagna ci accolgono in tutta la loro bellezza. Alla Fontana di Trevi capisco che oramai è quasi fatta. Continuo a ingozzarmi di banane e arance. Passo davanti all'Altare della Patria. In alto, immobili e solitari, i due piantoni fanno la guardia al milite ignoto. Sotto di loro passa un fiume multicolore di corridori. Un tizio, appena sotto l'arco dell'ultimo chilometro, caccia un urlo e si accascia al suolo con i crampi. A me inizia ad allargarsi il sorriso. Affronto con grinta la salita che gira intorno al Colosseo. Altri si fermano e camminano, ma oramai voglio arrivare di corsa.

Poche centinaia di metri e taglio il traguardo.

Mi mettono al collo una medaglia e mi coprono con una coperta termica. Per un po' vago senza meta. Poi vedo un punto dove danno gatorade e mela. Piano piano mi ricordo che ho uno zaino con dentro roba pulita e calda. Mi cambio così, in mezzo alla gente. Poi mi sdraio al sole per un po'.

Oggi sono qui alla mia scrivania. Ancora non ho metabolizzato bene. Ho però l'insano desiderio di correre di nuovo. Insano perché ancora zoppico quando cammino. Eppure la Maratona mette  abbrivio. Inverte i poli. Prima ti chiedi come farai a continuare a correre. 

Dopo cosa ti convincerà a fermarti

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