mercoledì 15 giugno 2011

Io tornai, io tornASTI (con FOTO)

Ci ho messo solo due settimane a pubblicare questo resoconto sulla Mezza di Asti.
Quindi saprete già tutto sulla mia gara. La copertura mediatica è stata ingente, in effetti.
Il paginone centrale della Gazzetta con la foto del mio arrivo, l'intervista su Vanity Fair nella quale rivelavo i segreti del mio glamouroso stile di corsa e quelle dichiarazioni al Tg4 con le quali ho portato alla luce il problema delle infiltrazioni bolsceviche nel podismo astigiano.
Ecco un ritaglio di giornale che mi ritrae alla fine della gara. Ho lasciato la gazza sul parabrezza dell'auto e s'è ingiallita.


Solo questo blog, ormai dominato dall'invidia oscurantista di Carlo, non ha dedicato il giusto spazio alla mia impresa.
Ma adesso ve la racconto io, tranquilli.

Non è stata una gara. Mi vergognerei a definirla tale dopo tutto l'impegno che nell'ultimo anno ho messo nel preparare i vari appuntamenti.
E' stato un bellissimo weekend enogastronomico in campagna, condito dalla partecipazione alla Mezza di Asti.
Coerentemente con questa definizione, la mia preparazione delle settimane precedenti era stata molto più focalizzata sull'arrivare preparato alla parte enogastronomica che alla parte podistica.
Mangiate, bevute. E qualche corsa, quando proprio non trovavo scuse migliori per ingrassare.

La sera prima della gara ho seccato due bottiglie di Ruchè (vino memorabile: se non lo sapevate, sapevatelo d'ora in poi) e ingurgitato una cena luculliana.
Il mattino della gara, alle 7, ho mangiato un quarto intero di una tarte tatin da urlo. Poi ho preso la macchina e sono andato ad Asti.

Ad Asti avevo già corso l'anno scorso. E' una piccola mezza maratona, organizzata benissimo. Ha un percorso misto città-campagna abbastanza probante e un pacco gara che include una bottiglia di vino. Geni.
Vi partecipano una media di 400 persone e io per il secondo anno consecutivo ero una di loro.
Ho corso soft, consapevole dei miei limiti attuali. Per la prima volta sapevo che non avrei abbassato il mio personale.  Era sempre stato quello il motore delle mie partecipazioni alle precedenti gare: migliorarmi. Correre senza questo obiettivo mi ha regalato prospettive nuove. Da un lato toglie un po' di sapore alla sfida, dall'altro però libera la mente all'ossessione del cronometro e permette di godersi di più l'esperienza.
Nella prima metà di gara ho posato gli occhi sulle schiene di due runners di Alba che correvano appaiati e ho deciso di pedinarli. Avevano il ritmo giusto per me, mi sono sincronizzato con loro e ho smesso di pensare all'andatura.
Poi verso metà gara l'accoppiata s'è spezzata: uno è partito, l'altro s'è inchiodato. Il divorzio della coppia a cui mi ero aggrappato per tutta la prima parte di gara ha scosso le mie certezze. Indeciso se stare con la mamma o con il papà, alla fine ho optato per la terza via: ho superato lo scoppiato e ho guardato serenamente quello veloce mentre spariva all'orizzonte.

La seconda metà di gara riservava soprattutto due stimoli: il salitone del 18esimo chilometro e la bagarre dell'arrivo. Insomma, vero che non avevo ambizioni in questa gara, ma senza qualche iniezione di adrenalina competitiva il tutto sarebbe diventato troppo simile a un picnic agreste.
Il salitone è letale, un lungo rettilineo con una pendenza importante che si palesa strafottente e merdaiolo a pochi minuti dall'arrivo, dopo un'intera gara trascorsa tra le seduzioni placide e piatte della campagna. E invece bam!, giri un angolo e lui è lì, costellato di podisti piegati, ansimanti, retrocorrenti (per dirla con Valerio).
Ed è proprio questo il bello.
Perché io sono fatto così: magari mi inchiodo a metà di un noioso e facile rettilineo per rifiatare, ma quando vedo una parte di percorso preferibilmente in salita e ancor più preferibilmente affollato di gente che sta tirando le cuoia, mi esalto e alzo il ritmo.
No, non è un atteggiamento nobile. Puntare gli animali zoppi e morenti e irriderli è più roba da iene che da leoni.
Ma è anche il cerchio della vita, volendo rimanere in tema di fatalismo da savana. Almeno io non mi incazzo quando qualcuno mi supera mentre c'è qualcun altro che la prende molto, molto male...
E questo ci porta al secondo degli stimoli dell'ultima parte di gara: l'arrivo. Ad Asti l'arrivo è particolarmente adatto ad aizzare la competitività perchè prevede un giro quasi completo sulla pista d'atletica di un centro sportivo.
Pochi metri dopo essere entrati in pista, decido di superare il tizio che mi precede, il quale appare oggettivamente in debito, e di dedicare il resto del giro a sbracciarmi in maniera smodata e a tirar fuori la lingua per salutare i miei tifosi (la Bionda, mia sorella e il grande Francesco). Eseguo il sorpasso. Tra me e il traguardo non c'è più nessuno di raggiungibile, mancano circa 300 metri e mi rilasso.
A 150 metri dal traguardo, mentre limono a distanza con la mia fidanzata in tribuna, sento delle vibrazioni sulla pista.
Asti non è zona particolarmente sismica.
C'è il sole, pure troppo, e non tuona.
Non ho scoreggiato.

Giro la testa. In pieno omaggio a George A. Romero lo zombie runner, che avevo creduto morto dopo il sorpasso, mi sta inseguendo con gli occhi iniettati di sangue e una falcata disperata e rabbiosa.
Mai sottovalutare l'orgoglio ferito, soprattutto in un arrivo sotto una tribuna in cui probabilmente si annidano mogli, fidanzate e amici anche di tutti gli altir podisti, spettatori di fronte ai quali nessuno vuole farsi vedere sbeffeggiato e superato.
Comincia da quel momento un insensato, demenziale e incazzatissimo sprint per aggiudicarsi la 151° posizione in classifica. Due relitti umani (perché anch'io ero bello cotto in quel momento) che muovono gambe e braccia  forsennatamente e che non vorrebbero affatto farlo - diciamolo - ma desidererebbero semplicemente godersi l'arrivo e il transito verso il buffet. Peccato che di mezzo ci sia l'orgoglio.
L'ORGOGLIO DEL 151° CLASSIFICATO.
Roba grossa.
Roba di fronte alla quale chi sprinta per partire prima al semaforo o chi cerca di scavallare una fila per entrare prima di te, sembra una persona sobria, equilibrata e supportata da nobili principi.
Insomma, siamo al livello ultimo del machismo: rischiare uno strappo per giocarsi il 151° posto.
Potevo lasciarlo vincere, dimostrando il mio raffinato distacco da queste questioni meschine.
Avrei dovuto.

Sto cazzo.
Ho vinto io.
Di un centesimo di secondo, come riportano le classifiche ufficiali.
Un centesimo che è bastato a far implodere millenni di scolarizzazione umana e a riportare in auge la legge della giungla.
Ecco le immagini dell'ignobile sfida:

Aggiungi didascalia



Per rendere l'idea della follia di questo sprint, alla fine in classifica io risulterò con lo stesso tempo dei due che mi precedono, e che dalla foto si vede che avevano dieci metri di vantaggio su di me a tre metri dall'arrivo.

Ecco "il vincitore"



...e la sua Bionda..

Il tempo ufficiale

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