venerdì 18 febbraio 2011

L'occhio della madre

Ci sono teorie, supportate da studi, che sostengono che il jat lag sia più facile da riassorbire quando viaggi da est verso ovest, piuttosto che viceversa.

Esiste però anche un fuso orario verticale, per quel che mi riguarda. Se arrivo a Milano da sud, trascorro giorni (a volte settimane, a seconda di quanto a sud fosse il Sud da cui arrivavo) a riassorbire disperate crisi di rigetto per il grigio topo del cielo, il giallo muco del sole e l'umido padano della pioggia.
Se arrivo da nord, tutto è più tollerabile, tutto più accogliente, tutto più iridescente. Stamattina, dopo una settimana a Berlino, quella specie di lampione che teniamo lassù nel cielo, e che noi milanesizzati chiamiamo coraggiosamente sole, sembrava promettermi fioriture paradisiache e abbronzature briatoresche. Lo ammiravo con estasi francescana, mentre allentavo il nodo della sciarpa, sigillato ermeticamente con la cerniera della mia giacca.
L'atteggiamento naif, ovviamente, è durato lo spazio di un viaggio in metro e il tempo di accendere il pc. Dopo di che sono stato rassicurato da meteo.it sul fatto che domenica tornerà il grigio. Ho rimboccato le coperte al mio entusiasmo e gli ho augurato un tranquillo ritorno al letargo. Ci sentiamo tra un mesetto.

Avevo lasciato Berlino con un'esperienza fantozziana. Pur occupandomi per lavoro di cinema prettamente commerciale e quasi totalmente made in USA, coltivo in maniera carbonara alcune piccole nicchie di cinema art, a cui mi dedico a tempo perso. Negli ultimi anni ho sviluppato un certo interesse per il cinema turco e turco/tedesco. Nessun accanimento particolare eh, conoscerò sì e no quattro registi, ma trovo che sia una cinematografia particolarmente interessante ultimamente, per il fatto di riflettere una cultura sospesa e combattuta tra oriente ed occidente. La qual cosa, alle volte, crea dei cortocircuiti visivi e contenutistici piuttosto interessanti.
Va beh. Mercoledì pomeriggio non avevo nulla di lavorativo da vedere e ho deciso di prendere il biglietto per la proiezione di un film turco in concorso. Proiezione ufficiale, con cast presente. Arrivo al palazzo della Berlinale, entro in sala e scopro che mi è stato attribuito un posto fantastico, nonostante avessi preso il biglietto all'ultimo: platea, 13esima fila, centrale, praticamente in braccio al regista e agli attori. Il mio amore per la Turchia è stato premiato, penso soddisfatto. Entra il cast, applausi. La protagonista è anche una gran bella...attrice, attrice...
Si spengono le luci, titoli di testa, prima scena muta. Tutto bene. Finché non iniziano i dialoghi. Che sarebbero stati in turco me l'aspettavo, senza grossi sforzi di fantasia. Che i sottotitoli invece fossero in tedesco, e solo in tedesco, ecco questo non l'avevo messo in conto. Bestemmio. Come un turco, ma silenziosamente. Guardo a destra e a sinistra: dieci persone per lato, comodamente sedute, che mi separano dall'idea di fuggire dal mio posto. Mi hanno incastrato, maledetti ottomani in cui avevo riposto la mia fiducia. Più che altro maledetti tedeschi, perché ad una proiezione ufficiale di un Festival internazionale non puoi pensare di proiettare un film turco con sottotitoli in tedesco, e basta.
Penso a Fantozzi e alla sua Corazzata Potemkyn:
Pina: "Dobbiamo andare a vedere un film cecoslovacco"
Ugo: "Noooooo"
Pina: "Ma con sottotitoli in tedesco!"
Pur non avendo letto nel dettaglio il regolamento del Festival, sono restio a pensare che qui esista la punizione dell'inginocchiatoio con ceci per chi si addormenta durante la proiezione. Decido quindi che l'unica fuga possibile sia quella nell'oblio del sonno. Affondo nella sedia, cercando di darmi una posizione il più possibile fetale e mi addormento. Mi risveglio 45 minuti dopo, per colpa di una risata (che c'avranno da ridere, poi). Guardo l'orologio. Bene, ho fatto passare in maniera indolore 45 minuti. Peccato che ne manchino altri 45. Ho pensato a tutto in quegli ultimi tre quarti d'ora: ho ripetuto le tabelline, i sette re di Roma, le province dell'Abruzzo, ho fatto un bilancio della mia vita, stretching alle gambe. Ho anche cercato di seguire il film: la gente ha riso altre volte, doveva proprio essere una commedia.
Alla fine, al riaccendersi delle luci in sala, sono fuggito.
Ho fatto male. A quel punto tanto valeva rimanere per il dibattito a prendermi la rivincita, come il Ragioniere insegna. Alzare la mano, chiedere il microfono, girarmi verso il cast e proclamare con voce stentorea, in turco, tedesco e inglese (l'anno prossimo mi preparo) che Bizim Büyük Çaresizligimiz e' una cagata pazzesca.

Dal boato o dal silenzio in sala avrei almeno capito se ero stato l'unico stronzo a farsi fregare, quel pomeriggio.
E avrei potuto proporre, come compensazione, la visione di Giovannona coscia lunga e de La Polizia si incazza.

P.S. Domenica si ricomincia a correre: lungo da 24 km

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