C'era una volta, un mese fa, un runner sulle soglie dell'autocommiserazione, fiaccato da influenze e mollezze natalizie, che il 9 gennaio interrompeva al 24esimo km il suo allenamento da 28 e mestamente si arrendeva, chiedendo un passaggio al tram per essere riportato a casa dalla Darsena, dove si era arenato come una nutria malferma.
Mancavano ormai meno di due mesi alla Maratona di Treviso e le premesse erano le peggiori che si potessero immaginare. Lo spread tra quel runner reale che si allenava il 9 gennaio e quel runner ipotetico che avrebbe dovuto portare a casa dignitosamente i 42 km e 195 mt nella Marca era altissimo.
Merkel e Sarkozy se la ridevano di gusto.
Poi scattò qualcosa. La liberalizzazione dell'orgoglio, probabilmente. Il piano anti crisi muscolare, forse. Sta di fatto che quel runner arrancante nei tre weekend successivi ha infilato un 30, un 28 e un 32 non dico con scioltezza, ma con un crescendo incoraggiante di performance.
Domenica lo aspettava un allenamento mai tentato, i 35 km. Alla Maratona di Roma era andato con alle spalle al massimo un 32 e con tanto entusiasmo. Al 36esimo km si era inchiodato e aveva fatto gli ultimi sei con il passo euforico dell'elefante che si avvia a scegliersi il loculo in cui morire.
Urgeva quindi arrivare meglio preparati, stavolta. Spostare il limite in allenamento da 32 a 35 poteva significare dilazionare il momento di crisi dal 36 al 39 (il runner ha fatto il classico e questi teoremi sono il massimo di raffinatezza matematica a cui riesce ad arrivare). La crisi al 39esimo è già una roba mica male, perchè a quel punto sei praticamente arrivato e sia mai che l'odore del traguardo possa trascinarti fin lì nonostante il serbatoio vuoto.
Ovviamente domenica, il giorno dei 35, era stato segnalato da tutti, da Giuliacci come da Nostradamus, come il giorno più freddo del periodo più freddo dell'anno. Quindi non si poteva dire di non sapere a cosa si andava incontro. Ma c'è stato di più. Una sorpresa. Nevicava pure.
Benissimo.
Il runner si era comunque preparato con la sua consueta capacità di sacrificare tutto in vista dell'obiettivo. La sera prima era andato a dormire alle tre dopo aver generosamente contribuito a finire un vassoio di tortelli alla crema, uno di chiacchiere, una bottiglia di amaro e una di Mirto.
L'impatto dell'uscita da casa condensava una sensazione simile alla somma di quello che provano la madre (un coro di dolorosi vaffanculo) e il neonato ("Cristo, la luce") nel momento del parto.
Il primo tratto ai Giardini di Porta Venezia è stato qualcosa di molto più simile allo short track che alla corsa. Una lastra unica di neve e ghiaccio. Una delle poche forme di vita presenti in quell'ecosistema ostile era Riccardo. Incontrato mentre pattinava con in testa il sogno della sua prima mezza, la prossima Stramilano. Ah, Riccardo sarà anche uno dei nostri staffettisti alla Milano City Marathon, quindi ve lo presenterò meglio un'altra volta.
Lo saluto e lo lascio nella sua tundra, diretto altrove. Punto sul Parco Sempione e lo trovo nel medesimo stato mortifero dei Giardini. Lo aggiro lungo la ciclabile, miracolosamente pulita. Punto verso la ex Fiera, correndo in uno scenario da insediamento abbandonato siberiano, con scheletri di palazzi in costruzione ricoperti di ghiaccio. Il prossimo traguardo da raggiungere è la Montagnetta di San Siro. Oggi sì che ha la dignità, e non solo il nome, della montagna. La circumnavigo con i piedi nella neve quasi fresca (anche qui, nessuno si è premurato di pulire i sentieri) osservando decine di puffi in slitta, più spesso ribaltati che dritti sulla slitta in effetti, inseguiti da genitori già pentiti giù per i pendii innevati. Incredibilmente non sono testimone di nessun incontro ravvicinato tra bambino, slitta e albero. Peccato.
Scoraggiato dall' impraticabilità dei parchi milanesi - ma tanto ormai sono lì - mi dirigo verso Trenno, girando prima attorno all'Ippodromo. Arrivati a Trenno, la magia. Una distesa unica di neve ma, miracolosamente, sentieri puliti, agibili, liberi.
Certo, la magia ha il suo prezzo. Trenno è al limite estremo di Milano e niente lo protegge dalle sferzate di vento gelido. Se nel resto della città faceva freddo, qui si gela seriamente. Meno dieci gradi è una stima credibile della temperatura in quel momento. Ma l'entusiasmo di trovare un parco di qui qualcuno s'è occupato, fa sopportare tutto. Si corre fianco a fianco, runners sui sentieri e sciatori di fondo sui prati. La scena ha il suo fascino, nonostante tutto. Lascio Trenno con una ventina abbondante di chilometri ormai percorsi e torno a riscaldarmi tra i premurosi scarichi delle macchine, verso il cuore della città.
Regalo "un inchino" alla mia vecchia casa di Via Osoppo, e ritorno verso la ciclabile che passa da Piazza Giulio Cesare. Quella almeno ho capito che è pulita e la seguo tutta, fino al Parco Solari. Il quale, in sintonia con i suoi colleghi del centro di Milano, è in uno stato pietoso, vittima del ghiaccio. Arranco e arrivo in Porta Genova, omaggio anche il Naviglio Grande, altro luogo culto della mia formazione, stavolta podistica, e punto verso Ticinese, Duomo, Corso Venezia...arrivo ai Bastioni, con l'odore di casa sotto mano e l'idea del vapore della doccia che mi appanna i pensieri e scopro che mi manca ancora un km. Porca Tr#@~.
I Giardini, come detto, sono quasi impraticabili e allora non mi resta che fare avanti e indietro la ciclabile dei Bastioni. Ci voleva una bella salita infilata nell'ultimo km: ricorda il percorso di Roma, con quel maledetto curvone ascendente attorno al Colosseo, a 500 mt dal traguardo.
Beh è fatta. Oggi, a due giorni da quell'impresa, coltivo fieramente un raffreddore totale, marmoreo, che impedisce l'entrata o l'uscita di qualsiasi spiffero da e per il mio corpo. Sopravvivo grazie alle branchie che mi sono aperto sul collo usando una graffetta, come insegna MacGyver.
Domani parto per Berlino, che è un posto splendido per svernare e riprendersi da un raffreddore e dal freddo di Milano.
I prossimi aggiornamenti arriveranno da lassù.
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martedì 7 febbraio 2012
venerdì 18 febbraio 2011
L'occhio della madre
Ci sono teorie, supportate da studi, che sostengono che il jat lag sia più facile da riassorbire quando viaggi da est verso ovest, piuttosto che viceversa.
Esiste però anche un fuso orario verticale, per quel che mi riguarda. Se arrivo a Milano da sud, trascorro giorni (a volte settimane, a seconda di quanto a sud fosse il Sud da cui arrivavo) a riassorbire disperate crisi di rigetto per il grigio topo del cielo, il giallo muco del sole e l'umido padano della pioggia.
Se arrivo da nord, tutto è più tollerabile, tutto più accogliente, tutto più iridescente. Stamattina, dopo una settimana a Berlino, quella specie di lampione che teniamo lassù nel cielo, e che noi milanesizzati chiamiamo coraggiosamente sole, sembrava promettermi fioriture paradisiache e abbronzature briatoresche. Lo ammiravo con estasi francescana, mentre allentavo il nodo della sciarpa, sigillato ermeticamente con la cerniera della mia giacca.
L'atteggiamento naif, ovviamente, è durato lo spazio di un viaggio in metro e il tempo di accendere il pc. Dopo di che sono stato rassicurato da meteo.it sul fatto che domenica tornerà il grigio. Ho rimboccato le coperte al mio entusiasmo e gli ho augurato un tranquillo ritorno al letargo. Ci sentiamo tra un mesetto.
Avevo lasciato Berlino con un'esperienza fantozziana. Pur occupandomi per lavoro di cinema prettamente commerciale e quasi totalmente made in USA, coltivo in maniera carbonara alcune piccole nicchie di cinema art, a cui mi dedico a tempo perso. Negli ultimi anni ho sviluppato un certo interesse per il cinema turco e turco/tedesco. Nessun accanimento particolare eh, conoscerò sì e no quattro registi, ma trovo che sia una cinematografia particolarmente interessante ultimamente, per il fatto di riflettere una cultura sospesa e combattuta tra oriente ed occidente. La qual cosa, alle volte, crea dei cortocircuiti visivi e contenutistici piuttosto interessanti.
Va beh. Mercoledì pomeriggio non avevo nulla di lavorativo da vedere e ho deciso di prendere il biglietto per la proiezione di un film turco in concorso. Proiezione ufficiale, con cast presente. Arrivo al palazzo della Berlinale, entro in sala e scopro che mi è stato attribuito un posto fantastico, nonostante avessi preso il biglietto all'ultimo: platea, 13esima fila, centrale, praticamente in braccio al regista e agli attori. Il mio amore per la Turchia è stato premiato, penso soddisfatto. Entra il cast, applausi. La protagonista è anche una gran bella...attrice, attrice...
Si spengono le luci, titoli di testa, prima scena muta. Tutto bene. Finché non iniziano i dialoghi. Che sarebbero stati in turco me l'aspettavo, senza grossi sforzi di fantasia. Che i sottotitoli invece fossero in tedesco, e solo in tedesco, ecco questo non l'avevo messo in conto. Bestemmio. Come un turco, ma silenziosamente. Guardo a destra e a sinistra: dieci persone per lato, comodamente sedute, che mi separano dall'idea di fuggire dal mio posto. Mi hanno incastrato, maledetti ottomani in cui avevo riposto la mia fiducia. Più che altro maledetti tedeschi, perché ad una proiezione ufficiale di un Festival internazionale non puoi pensare di proiettare un film turco con sottotitoli in tedesco, e basta.
Penso a Fantozzi e alla sua Corazzata Potemkyn:
Pina: "Dobbiamo andare a vedere un film cecoslovacco"
Ugo: "Noooooo"
Pina: "Ma con sottotitoli in tedesco!"
Pur non avendo letto nel dettaglio il regolamento del Festival, sono restio a pensare che qui esista la punizione dell'inginocchiatoio con ceci per chi si addormenta durante la proiezione. Decido quindi che l'unica fuga possibile sia quella nell'oblio del sonno. Affondo nella sedia, cercando di darmi una posizione il più possibile fetale e mi addormento. Mi risveglio 45 minuti dopo, per colpa di una risata (che c'avranno da ridere, poi). Guardo l'orologio. Bene, ho fatto passare in maniera indolore 45 minuti. Peccato che ne manchino altri 45. Ho pensato a tutto in quegli ultimi tre quarti d'ora: ho ripetuto le tabelline, i sette re di Roma, le province dell'Abruzzo, ho fatto un bilancio della mia vita, stretching alle gambe. Ho anche cercato di seguire il film: la gente ha riso altre volte, doveva proprio essere una commedia.
Alla fine, al riaccendersi delle luci in sala, sono fuggito.
Ho fatto male. A quel punto tanto valeva rimanere per il dibattito a prendermi la rivincita, come il Ragioniere insegna. Alzare la mano, chiedere il microfono, girarmi verso il cast e proclamare con voce stentorea, in turco, tedesco e inglese (l'anno prossimo mi preparo) che Bizim Büyük Çaresizligimiz e' una cagata pazzesca.
Dal boato o dal silenzio in sala avrei almeno capito se ero stato l'unico stronzo a farsi fregare, quel pomeriggio.
E avrei potuto proporre, come compensazione, la visione di Giovannona coscia lunga e de La Polizia si incazza.
P.S. Domenica si ricomincia a correre: lungo da 24 km
mercoledì 16 febbraio 2011
Nero come..
Nero, come nero era il mio stato di salute dell'altro ieri, tutto tranne che promettente per i miei propositi di allenamento.
Nera, e solida come il monolite di 2001 Odissea nello spazio, la mia determinazione a correre lo stesso perche' tra un mese c'e' quella benedetta/maledetta maratona. E quella si' che sara' un'impresa monolitica, altro che la tosse febbricitante di questi giorni.
Nera, la mia antiero(t)ica tenuta da Black Sperm. Anche un po' puzzolente, visto che ovviamente non era stata lavata dopo la mia precedente performance podistica berlinese. Ma tanto sono raffreddato.
Nero, il parco di Tiergarten, che stavolta ho deciso di affrontare, dritto per dritto. L'altra sera ci avevo girato attorno per un po', corteggiandolo con timidezza, intimorito dalla presso che totale assenza di illuminazione dei suoi sentieri, che vedevo partire dalla strada e sparire dopo una decina di metri, inghiottiti dal buio. Questa volta ero piu' determinato, piu' coraggioso. Forse emanavo un odore che avrebbe comunque intimorito qualsiasi malintenzionato. Chissa'. Sta di fatto che ho individuato un viale debolmente illuminato, attraente e jacksquartatorio allo stesso tempo, lungo 4-500 metri. Dall'altra parte in fondo mi aspettava, alto sulla sua colonna e dorato nella notte, l'angelo, quello de Il Cielo sopra Berlino. Ho deciso che era un buon segno, o comunque un posto memorabile dove lasciarci le penne, e sono entrato nel parco. Passi timidi si alternavano a passi veloci, dando vita ad un'andatura oscillatoria che tradiva sia il timore che la fierezza per quello che stavo facendo. Tempo 100 metri e vedo, intravedo, un'ombra che mi viene incontro. Mi aspetto di tutto, per un attimo, tranne quello che poi vedo arrivare. E' una ragazza alta come uno Snorkey (senza contare il tubo che esce dalla testa) e poco piu' pesante e ovviamente fa jogging da sola, tranquilla nel parco notturno e buio. Sorrido. Di me, delle mie paure, dei miei pregiudizi, della bellezza di questa citta' che mi ha sorpreso un'altra volta.
Tranquillizzato infilo un altro viale del parco, ancora piu'lungo, se possibile piu'buio. Una sensazione magnifica: togli l'elemento paura da un'attivita' fuori dall'ordinario e ti regali dei momenti memorabili, e' matematico.
Nero, e' il meraviglioso monumeto all'Olocausto. Decine e decine di neri parallelepipedi di granito, di diverse altezze, disposti su un terreno ondulato a pochi centimetri uno dall'altro. Da fuori e' quasi impossibile accorgersene: sembrano tutti uguali. Se ti ci inoltri in mezzo, dopo pochi passi ti accorgi che stai scendendo nel buio, ineluttabilmente. Ti senti schiacciato, immerso, il cielo diventa piccolo tra le vette dei parallelepipedi neri. Riesce a raccontare la lenta, e spesso distratta, discesa dell'uomo verso il Male in una maniera da togliere il fiato. Beh, io l'altro ieri sera ho deciso di correrci in mezzo ed e'stata un'esperienza. Non c'ero mai entrato con il buio, nemmeno camminando normalmente. Due file di parallelepipedi che mi sfiorano le spalle, mentre affondo nel buio e mentre lentamente, e letteralmente, ne riemergo. La sensazione che da qualsiasi dei corridoi che incrocio possa sbucare qualcosa che mi potrebbe travolgere come un treno, la gioia di risbucare dal buio vero al buio finto, quello delle strade illuminate dalle auto e dalle insegne dei negozi. Grazie corsa, anche per questo.
Nero, infine, il locale della festa a cui sono stato dopo il ritorno dalla corsa e la cena, ricavato in perfetto Berlin style sotto una stazione della metropolitana, con ingresso da sotto una cavalcavia ricoperto di graffiti.
P.S. Nero, il risultato di Novara-Torino che mi e'stato comunicato dall'Italia.
Domani si torna a Milano.
Nera, e solida come il monolite di 2001 Odissea nello spazio, la mia determinazione a correre lo stesso perche' tra un mese c'e' quella benedetta/maledetta maratona. E quella si' che sara' un'impresa monolitica, altro che la tosse febbricitante di questi giorni.
Nera, la mia antiero(t)ica tenuta da Black Sperm. Anche un po' puzzolente, visto che ovviamente non era stata lavata dopo la mia precedente performance podistica berlinese. Ma tanto sono raffreddato.
Nero, il parco di Tiergarten, che stavolta ho deciso di affrontare, dritto per dritto. L'altra sera ci avevo girato attorno per un po', corteggiandolo con timidezza, intimorito dalla presso che totale assenza di illuminazione dei suoi sentieri, che vedevo partire dalla strada e sparire dopo una decina di metri, inghiottiti dal buio. Questa volta ero piu' determinato, piu' coraggioso. Forse emanavo un odore che avrebbe comunque intimorito qualsiasi malintenzionato. Chissa'. Sta di fatto che ho individuato un viale debolmente illuminato, attraente e jacksquartatorio allo stesso tempo, lungo 4-500 metri. Dall'altra parte in fondo mi aspettava, alto sulla sua colonna e dorato nella notte, l'angelo, quello de Il Cielo sopra Berlino. Ho deciso che era un buon segno, o comunque un posto memorabile dove lasciarci le penne, e sono entrato nel parco. Passi timidi si alternavano a passi veloci, dando vita ad un'andatura oscillatoria che tradiva sia il timore che la fierezza per quello che stavo facendo. Tempo 100 metri e vedo, intravedo, un'ombra che mi viene incontro. Mi aspetto di tutto, per un attimo, tranne quello che poi vedo arrivare. E' una ragazza alta come uno Snorkey (senza contare il tubo che esce dalla testa) e poco piu' pesante e ovviamente fa jogging da sola, tranquilla nel parco notturno e buio. Sorrido. Di me, delle mie paure, dei miei pregiudizi, della bellezza di questa citta' che mi ha sorpreso un'altra volta.
Tranquillizzato infilo un altro viale del parco, ancora piu'lungo, se possibile piu'buio. Una sensazione magnifica: togli l'elemento paura da un'attivita' fuori dall'ordinario e ti regali dei momenti memorabili, e' matematico.
Nero, e' il meraviglioso monumeto all'Olocausto. Decine e decine di neri parallelepipedi di granito, di diverse altezze, disposti su un terreno ondulato a pochi centimetri uno dall'altro. Da fuori e' quasi impossibile accorgersene: sembrano tutti uguali. Se ti ci inoltri in mezzo, dopo pochi passi ti accorgi che stai scendendo nel buio, ineluttabilmente. Ti senti schiacciato, immerso, il cielo diventa piccolo tra le vette dei parallelepipedi neri. Riesce a raccontare la lenta, e spesso distratta, discesa dell'uomo verso il Male in una maniera da togliere il fiato. Beh, io l'altro ieri sera ho deciso di correrci in mezzo ed e'stata un'esperienza. Non c'ero mai entrato con il buio, nemmeno camminando normalmente. Due file di parallelepipedi che mi sfiorano le spalle, mentre affondo nel buio e mentre lentamente, e letteralmente, ne riemergo. La sensazione che da qualsiasi dei corridoi che incrocio possa sbucare qualcosa che mi potrebbe travolgere come un treno, la gioia di risbucare dal buio vero al buio finto, quello delle strade illuminate dalle auto e dalle insegne dei negozi. Grazie corsa, anche per questo.
Nero, infine, il locale della festa a cui sono stato dopo il ritorno dalla corsa e la cena, ricavato in perfetto Berlin style sotto una stazione della metropolitana, con ingresso da sotto una cavalcavia ricoperto di graffiti.
P.S. Nero, il risultato di Novara-Torino che mi e'stato comunicato dall'Italia.
Domani si torna a Milano.
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lunedì 14 febbraio 2011
No run, no party? Yes, party yes
Oggi arrivo con un bel niente da raccontare in fatto di running. Lo dichiaro subito. Da tre giorni mi porto dietro una mezza, diciamo tre quarti, influenza che mi sta fiaccando un casino. Se calcolate che giro tutto il giorno tra gelo e sale (cinematografiche, non quello che si butta a tera quando ghiaccia), che ogni sera ho una cena e quasi sempre anche un dopocena, che dormo in media cinque ore a notte, capirete che il mio corpo non si trova nelle condizioni migliori per recuperare.
Pero' di cose interessanti ne ho viste.
Ho visto una festa in maschera, nei saloni del mio albergo. L'invitato piu' giovane aveva 65 anni. C'erano marinaretti, cavalieri medievali e cowboy. Tutto come in una festa in maschera normale. Ma con l'anca traballante. Sembrava Cocoon shakerato con Eyes Wide Shut.
Ho visto taxisti libanesi fumarsi a tutta velocita' Postsdamer Platz, con il rosso. Li ho visti girarsi verso di me, dopo aver bruciato il semaforo, con un sorriso di complicita' mediterranea e li ho sentiti dirmi che non se ne puo' piu' di questi tedeschi calmi, compassati e ligi alle regole e che noi mediteranei abbiamo un "tiemperament fuolle". Mi sono sentito rispondergli che in linea di massima ero d'accordo ma che, a costo di sembrare scandinavo, anche sopravvivere mi sembrava una buona idea.
Ho visto un po' di quella Berlino che si e' meritata la fama di capitale piu' giovane e movimentata d'Europa. Sono stato in locali prevalentemente gay e prevalentemente in posti inimmaginabili, soprattutto per gli standard omologati di Milano. Sono stao in un bar le cui pareti erano totalmente ricoperte di un'alta e pelosa moquette rosa. No, moquette rosa non rende l'idea. Avete presento il coniglio Tenerone di Drive In? Vi chiedevate che fine avesse fatto? E' morto, e' stato scuoiato e la sua pelle e' andata ad arredare le pareti del bar di cui sopra. Ora si' che ho reso l'idea.
Sono stato in una discoteca che occupa un intero edificio ex industriale semi diroccato di Berlino Est. Si chiama Berghein ed e' un posto incredibile, su tre piani, una struttura ipnotica, musica eccezionale e gente fuori di testa. Ci sono anche lunghi corridoi labirintici che portano dritti dentro dark room, per chi gradisse. Per entrare in questo posto, uno dei punti di riferimento della scena berlinese, che a sua volta e' punto di riferimento europeo, abbiamo fatto si' e no due minuti di coda e pagato 12 euro. Pensateci, e odiateli un po', la prossima volta che vi ritroverete fuori al gelo, di fronte al Plastic a pietire l'isterico perche' vi faccia entrare in quella specie di bilocale sudato, a 25 euro. Pensateci.
Ah, all'uscita, alle 4, c'era una fila di quindici taxi in attesa fuori dal locale. Pensate anche a questo.
Il resto la prossima volta. Altrimenti, se non ricomincio a correre, che cazzo vi racconto?
Pero' di cose interessanti ne ho viste.
Ho visto una festa in maschera, nei saloni del mio albergo. L'invitato piu' giovane aveva 65 anni. C'erano marinaretti, cavalieri medievali e cowboy. Tutto come in una festa in maschera normale. Ma con l'anca traballante. Sembrava Cocoon shakerato con Eyes Wide Shut.
Ho visto taxisti libanesi fumarsi a tutta velocita' Postsdamer Platz, con il rosso. Li ho visti girarsi verso di me, dopo aver bruciato il semaforo, con un sorriso di complicita' mediterranea e li ho sentiti dirmi che non se ne puo' piu' di questi tedeschi calmi, compassati e ligi alle regole e che noi mediteranei abbiamo un "tiemperament fuolle". Mi sono sentito rispondergli che in linea di massima ero d'accordo ma che, a costo di sembrare scandinavo, anche sopravvivere mi sembrava una buona idea.
Ho visto un po' di quella Berlino che si e' meritata la fama di capitale piu' giovane e movimentata d'Europa. Sono stato in locali prevalentemente gay e prevalentemente in posti inimmaginabili, soprattutto per gli standard omologati di Milano. Sono stao in un bar le cui pareti erano totalmente ricoperte di un'alta e pelosa moquette rosa. No, moquette rosa non rende l'idea. Avete presento il coniglio Tenerone di Drive In? Vi chiedevate che fine avesse fatto? E' morto, e' stato scuoiato e la sua pelle e' andata ad arredare le pareti del bar di cui sopra. Ora si' che ho reso l'idea.
Sono stato in una discoteca che occupa un intero edificio ex industriale semi diroccato di Berlino Est. Si chiama Berghein ed e' un posto incredibile, su tre piani, una struttura ipnotica, musica eccezionale e gente fuori di testa. Ci sono anche lunghi corridoi labirintici che portano dritti dentro dark room, per chi gradisse. Per entrare in questo posto, uno dei punti di riferimento della scena berlinese, che a sua volta e' punto di riferimento europeo, abbiamo fatto si' e no due minuti di coda e pagato 12 euro. Pensateci, e odiateli un po', la prossima volta che vi ritroverete fuori al gelo, di fronte al Plastic a pietire l'isterico perche' vi faccia entrare in quella specie di bilocale sudato, a 25 euro. Pensateci.
Ah, all'uscita, alle 4, c'era una fila di quindici taxi in attesa fuori dal locale. Pensate anche a questo.
Il resto la prossima volta. Altrimenti, se non ricomincio a correre, che cazzo vi racconto?
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sabato 12 febbraio 2011
Non sarebbe bello riprendere Berlino...
...non sarebbe strano prenderla senza eroi? Pensavo a questa canzone degli Afterhours ieri sera quando alla fine di una giornata abbastanza stancante e con alle spalle la festa e gli svariati gin tonic della notte prima, ho infilato il mio completo da running e sono sceso nel buio berlinese per (ri)prendermi Berlino in un modo in cui non l'avevo mai presa nelle mie tre precedenti visite: di corsa.
In una serata senza eroi, mi sono gustato il mio piccolo atto antieroico: un arrivo frontale e un passaggio scattante sotto la porta di Brandeburgo, che non entrera' nella Storia, ma nella mia storiella si'. E forse anche nelle foto di qualche ritardatario giapponese che era ancora li', che anzi forse aveva aspettato proprio quell'ora tarda per scattare una foto della Porta senza turisti e che al suo ritorno nel Sol Levante scoprira' che gli ho rovinato l'istante fotografico perfetto, con quel riflesso fastidiosissimo che il suo flash avra' prodotto sulle mie scarpe fluo.
Potevo almeno alzare le braccia, li'sotto la porta. Gli avrei regalato un tocco di epica da ricordare.
Ieri ho riapprezzato una delle cose che mi hanno fatto e mi fanno amare la corsa. La corsa, fondamentalmente e' un paio di scarpe. Un paio di scarpe e ottieni il passpartout per andare ovunque. Non hai bisogno di sci, mazze, attrezzature, campi predisposti per quel determinato sport. Io le infilo in valigia e me le porto ovunque da un anno a questa parte. Mi hanno fatto compagnia in Sicilia, in California, in Francia e adesso a Berlino.
Ti permettono di godere di un diverso punto di vista sul luogo in cui ti trovi. Non dico che sia migliore o peggiore di quello che ottieni camminando, in taxi o su un bus aperto. E' una cosa in piu'. Ti fa sentire inserito nel contesto, per come la vedo io. Si puo' vivere bene anche senza, beninteso. Pero' io non riesco piu' a farne a meno.
Costeggiare il Tiegarten, attraversare la Porta di Brandeburgo, bersi tutto l'Unter den Linden (il vialone monumentale di Berlino Est, per intenderci), attraversare la Sprea e arrivare in Alexander Platz. Poi tornare indietro attraverso il quartiere di Mitte, passare accanto ai ruderi del Muro e dietro il checkpoint Charlie e arrivare infine a Potsdamer Platz.
Quelle strade le avevo battute tante volte, con in testa pensieri di lavoro, di cinema da raggiungere, di ristoranti da scovare, di hotel in cui tornare. La maggior parte delle volte piu' occupato a maledire il freddo e a soffiarmi il naso che a guardare cosa avevo intorno.
Ieri, sottile come un spermatozoo dark, ero libero.
Da ieri Berlino e' un po piu' mia.
Per riprenderla non servono eroi, avevano ragione gli Afterhours.
Bastano un paio di scarpe.
In una serata senza eroi, mi sono gustato il mio piccolo atto antieroico: un arrivo frontale e un passaggio scattante sotto la porta di Brandeburgo, che non entrera' nella Storia, ma nella mia storiella si'. E forse anche nelle foto di qualche ritardatario giapponese che era ancora li', che anzi forse aveva aspettato proprio quell'ora tarda per scattare una foto della Porta senza turisti e che al suo ritorno nel Sol Levante scoprira' che gli ho rovinato l'istante fotografico perfetto, con quel riflesso fastidiosissimo che il suo flash avra' prodotto sulle mie scarpe fluo.
Potevo almeno alzare le braccia, li'sotto la porta. Gli avrei regalato un tocco di epica da ricordare.
Ieri ho riapprezzato una delle cose che mi hanno fatto e mi fanno amare la corsa. La corsa, fondamentalmente e' un paio di scarpe. Un paio di scarpe e ottieni il passpartout per andare ovunque. Non hai bisogno di sci, mazze, attrezzature, campi predisposti per quel determinato sport. Io le infilo in valigia e me le porto ovunque da un anno a questa parte. Mi hanno fatto compagnia in Sicilia, in California, in Francia e adesso a Berlino.
Ti permettono di godere di un diverso punto di vista sul luogo in cui ti trovi. Non dico che sia migliore o peggiore di quello che ottieni camminando, in taxi o su un bus aperto. E' una cosa in piu'. Ti fa sentire inserito nel contesto, per come la vedo io. Si puo' vivere bene anche senza, beninteso. Pero' io non riesco piu' a farne a meno.
Costeggiare il Tiegarten, attraversare la Porta di Brandeburgo, bersi tutto l'Unter den Linden (il vialone monumentale di Berlino Est, per intenderci), attraversare la Sprea e arrivare in Alexander Platz. Poi tornare indietro attraverso il quartiere di Mitte, passare accanto ai ruderi del Muro e dietro il checkpoint Charlie e arrivare infine a Potsdamer Platz.
Quelle strade le avevo battute tante volte, con in testa pensieri di lavoro, di cinema da raggiungere, di ristoranti da scovare, di hotel in cui tornare. La maggior parte delle volte piu' occupato a maledire il freddo e a soffiarmi il naso che a guardare cosa avevo intorno.
Ieri, sottile come un spermatozoo dark, ero libero.
Da ieri Berlino e' un po piu' mia.
Per riprenderla non servono eroi, avevano ragione gli Afterhours.
Bastano un paio di scarpe.
giovedì 10 febbraio 2011
Andiamo a Berlino, Beppe.
E questo credo sia il primo articolo postato dall'estero, tanto per battere ogni giorno un record sul nostro blog.
Per chi non lo sapesse, da qualche ora mi trovo a Berlino e ci rimarro' una settimana a seguire il Festival e il Mercato annesso.
Stamattina sveglia alle 6.45 e viaggio verso Malpensa su un taxi guidato un anarchico internazionalista. Avete presente la classica immagine del taxista: conservatore, tendenzialmente razzista, lamentoso e qualunquista? Il mio era raro come un panda a confronto: ex anarchico, ex insegnante di sub, 18 anni passati a girare l'Asia (ma Asia vera, e' stato in Pakistan e Afghanistan, tanto per dirne due), mente lucidissima sui problemi di politica internazionale. Il primo taxista parlante interessante della mia vita. Di solito quando attaccano i loro pistolotti sul traffico nell'ora di punta o sul degrado di Milano dovuto agli stranieri, vorrei morire. Oggi mi sono divertito.
Volo puntualissimo. Sbarco a Berlino temutissimo: l'anno scorso la settimana del festival era stata la Tempesta Perfetta, con due metri di neve ovunque. Oggi invece strade pulite al punto da non riconoscerle (non scherzo, oggi ho scoperto che di fianco al nostro albergo c'e' un giardinetto, l'anno scorso non riuscivi nemmeno ad immaginarlo), clima che definire mite sarebbe ottimistico, ma comunque solo moderatamente freddo, quasi piacevole viste le aspettative.
Unica altra nota degna di rilievo della giornata, l'apparizione, all'anteprima del suo film (abbastanza inguardabile, per la cronaca), di Kevin Smith. Per chi non sapesse di chi si tratta - shame on him/her - e' l'uomo che ha regalato al mondo Clerks. E questo per me basta a incastonarlo nella bacheca dei Grandi, anche se da allora avesse girato solo televendite. In effetti tranne rari casi i suoi film successivi non sono stati molto piu' toccanti di un materasso accarezzato da Mastrota. Bene, il nostro Kevin, uomo dalla stazza importante, ogi si e' presentato cosi': magliettona da hockey taglia XXXXXXL arancione e blu elettrica, pinocchietti di jeans senza calze, cappottone grigio di lana a farcire il tutto. Ha farneticato per dieci minuti davanti alla platea e alla fine e, stato anche divertente. Poi e; iniziato il film. Purtroppo.
Ma arriviamo al punto e rassicuriamo la platea vera, quella di Piovono Runners: si', in valigia ho tutto l'armamentario da runners (occupa circa un terzo della capienza totale), per indoor e outdoor. Andro' a correre, promesso. Se riesco gia'domani. Ho una tabella che mi tiene sotto osservazione, anche in latitanza. A due passi dall,albergo c,e' il Tiegarten, il parco piu'grande di Berlino. Se il tempo regge, diventera' il teatro delle mie imprese prussiane.
Se no c'e' sempre il maledetto tapiren settato in miglia, di cui vi raccontavo...
Vado, il lavoro mi chiama.
Keep in touch.
Baci
Per chi non lo sapesse, da qualche ora mi trovo a Berlino e ci rimarro' una settimana a seguire il Festival e il Mercato annesso.
Stamattina sveglia alle 6.45 e viaggio verso Malpensa su un taxi guidato un anarchico internazionalista. Avete presente la classica immagine del taxista: conservatore, tendenzialmente razzista, lamentoso e qualunquista? Il mio era raro come un panda a confronto: ex anarchico, ex insegnante di sub, 18 anni passati a girare l'Asia (ma Asia vera, e' stato in Pakistan e Afghanistan, tanto per dirne due), mente lucidissima sui problemi di politica internazionale. Il primo taxista parlante interessante della mia vita. Di solito quando attaccano i loro pistolotti sul traffico nell'ora di punta o sul degrado di Milano dovuto agli stranieri, vorrei morire. Oggi mi sono divertito.
Volo puntualissimo. Sbarco a Berlino temutissimo: l'anno scorso la settimana del festival era stata la Tempesta Perfetta, con due metri di neve ovunque. Oggi invece strade pulite al punto da non riconoscerle (non scherzo, oggi ho scoperto che di fianco al nostro albergo c'e' un giardinetto, l'anno scorso non riuscivi nemmeno ad immaginarlo), clima che definire mite sarebbe ottimistico, ma comunque solo moderatamente freddo, quasi piacevole viste le aspettative.
Unica altra nota degna di rilievo della giornata, l'apparizione, all'anteprima del suo film (abbastanza inguardabile, per la cronaca), di Kevin Smith. Per chi non sapesse di chi si tratta - shame on him/her - e' l'uomo che ha regalato al mondo Clerks. E questo per me basta a incastonarlo nella bacheca dei Grandi, anche se da allora avesse girato solo televendite. In effetti tranne rari casi i suoi film successivi non sono stati molto piu' toccanti di un materasso accarezzato da Mastrota. Bene, il nostro Kevin, uomo dalla stazza importante, ogi si e' presentato cosi': magliettona da hockey taglia XXXXXXL arancione e blu elettrica, pinocchietti di jeans senza calze, cappottone grigio di lana a farcire il tutto. Ha farneticato per dieci minuti davanti alla platea e alla fine e, stato anche divertente. Poi e; iniziato il film. Purtroppo.
Ma arriviamo al punto e rassicuriamo la platea vera, quella di Piovono Runners: si', in valigia ho tutto l'armamentario da runners (occupa circa un terzo della capienza totale), per indoor e outdoor. Andro' a correre, promesso. Se riesco gia'domani. Ho una tabella che mi tiene sotto osservazione, anche in latitanza. A due passi dall,albergo c,e' il Tiegarten, il parco piu'grande di Berlino. Se il tempo regge, diventera' il teatro delle mie imprese prussiane.
Se no c'e' sempre il maledetto tapiren settato in miglia, di cui vi raccontavo...
Vado, il lavoro mi chiama.
Keep in touch.
Baci
giovedì 3 febbraio 2011
Il tapiro urlante
Il tapiro urlante, conosciuto Oltralpe come tapis roulant, è strumento d'allenamento nonché argomento di discussione dei runner.
Il podista integralista di solito lo disprezza e lo considera una roba da profani. Per lui il tapiro sta alla corsa come il Tavernello al Barolo, Twilight a Dracula o l'altra squadra di Torino al Torino: roba di scarsa qualità, pallida evocazione, mangime per le masse indifferenziate.
Il tapiro urlante, per il podista integralista, segna la differenza tra chi in ogni condizione meteorologica e a ogni ora del giorno batte la strada (che in questo mondo è un complimento, intendiamoci) e chi si rifugia in palestra, tra le cinquantenni del pilates e i maschioni depilatis.
Il podista integralista un po' ha ragione e un po' no.
La strada è incomparabilmente più bella, è l'essenza della corsa, il piacere senza compromessi. E' il sesso senza il preservativo.
Il tapiro, è vero, è sesso inguantato. Io però sono tra quelli che pensano che sarebbe stupido rinunciare al sesso per un'avversione ideologica verso il preservativo. Quindi, quando serve, salgo sul tapiro (che nessuno visualizzi il doppio senso di questa frase, o chiudo il blog).
Il tapiro è comodo. Innanzitutto, a dispetto del nome, non urla. E' mansueto, tranne quando si inchioda di botto mentre stai correndo a 14km/h e ti ritrovi proiettato nell'ignoto spazio profondo come la cagnetta Laika (mi è capitato).
Poi è qui nella palestra del mio ufficio, a 100 mt in linea d'aria dalla mia scrivania. Ci posso andare in pausa pranzo, invece di svegliarmi alle 6 del mattino per correre o dover uscire nella nebbia alle 9 di sera. Aiuta con la regolarità, come il Bifidus actiregularis: imposti la velocità a cui vuoi correre e lui ti costringe a tenerla. Quest'ultima opzione è utilissima fino a quando all'estero, nel mio caso a Berlino, non incontri un tapiro settato in miglia: lì o ti abbandoni a raffinati algoritmi mentali di conversione - so che non è complicatissimo, ma io ho fatto il Classico - o rinunci ed entri in sauna (perchè a Berlino i tapiri sono settati in miglia? Se qualcuno lo sa, ci sono sempre quelle foto discinte di Carlo che sono rimaste in palio da un precedente concorso).
I tapiri della mia palestra si dividono in quattro categorie. La più prestigiosa è quella che comprende i modelli con televisore integrato e posti di fronte alla sala corsi. Questi ti permettono un'ampia gamma di visioni che aiutano a vincere la noia. Spesso la realtà, rappresentata da colleghi insospettabili che tarantolano al ritmo della Zumba o si accartocciano torturati dall'istruttore di Addominali, offre molti più spunti del bouquet di canali a disposizione.
La seconda categoria ha implicazioni motivazionali e morali più complesse, perchè è rappresentata dai tapiri dotati di televisore ma posti di fronte alla vetrata del ristorante. Il sadismo consapevole o inconsapevole dei progettisti di quest'area di Mediaset, ha creato uno scontro di culture. Particolarmente acceso, come è ovvio, nella fase della pausa pranzo. In quel momento si fronteggiano e si guardano negli occhi due mondi lontani. Chi accumula da un lato, chi disperde dall'altro. Non mi è mai stato chiaro chi invidi chi, se scorra ammirazione reciproca, tensione, immedesimazione, superbia, disincanto, empatia, entropia o antipatia. Aleggia comunque qualcosa, nell'aria che divide le due tribù.
Se avverte imbarazzo o invidia, la persona a tavola è comunque libera di concentrarsi sui suoi bucatini e quella sul tapiro può abbassare lo sguardo e dedicarsi al televisore.
Questa libertà di scelta è ridotta per colui il quale si trovasse a correre sulla terza categoria di tapiri, sempre posizionata fronte ristorante ma priva di televisore. A questa persona sarà necessaria una maggiore capacità buddistica di distacco dai piaceri terreni, in questo caso il cibo ostentato dai suoi dirimpettai, e di concentrazione sull'atto della corsa.
La quarta categoria è la più austera, monacale e punitiva della palestra. Vi sono infatti alcuni tapiri urlanti privi di televisore e posti di fronte a una vetrata opaca. Sono gli ultimi ad essere occupati, ovviamente. Richiedono dedizione totale, motivazioni altissime e doti di sublimazione dello sforzo. Anche perchè la presenza del televisore sul tapiro è strategica anche se non lo guardi. Mettere l'immagine a tutto schermo permette infatti di nascondere alla vista lo spietato, e solitamente lento, molto lento, scorrere dei due quadranti luminosi che conteggiano il passare dei minuti e l'avanzare della distanza percorsa.
Se quindi ti trovi sul tapiro di quarta classe non puoi guardare la tv e non puoi guardare la gente che mangia ma puoi solo affondare lo sguardo nella nebbia ipnotica del vetro opacizzato e sperare che vi rimanga intrappolato. Perchè se rimani schiavo del controllare ogni momento quanto hai corso e quanto tempo manca alla fine, la pausa pranzo diventa un supplizio e finisci per rimpiangere rabbiosamente non solo il ristorante e il suo menu di medio livello, ma persino la mensa, quel luogo triste ma democratico in cui il pesce spada, la salsiccia e il riso in bianco hanno tutti lo stesso rassicurante sapore.
Oggi 8 km a 4'55'' al km, come da Tabella. Sul tapiro urlante di quarta categoria, ça va sans dire.
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