martedì 8 febbraio 2011

Sale da solo ma da solo non scende…

L'attesissimo ritorno di Nizza sulle nostre pagine. Eccovelo:

No non sto vaneggiando e non sono diventato un erotomane.

Il titolo è un indovinello, avete trovato la risposta?

Le mie ultime elucubrazioni risalgono esattamente a lunedì scorso, una vita se guardo alla frequenza con cui postavo e che mi ha permesso di ottenere il mio nome qui in alto a sinistra. Ma la settimana scorsa è stata davvero una settimana no. Il tutto ha avuto inizio martedì quando, dopo aver esaltato nei giorni precedente quanto il mio ginocchio avesse reagito in modo gagliardo alla corsa, quest’ultimo mi ha salutato cedendo in un modo affatto glorioso. Infatti non mi ha salutato alla fine di un’estenuante sessione di allenamento. Non mi ha abbandonato durante una delle nostre epiche sfide con la temibile collinetta, no lui, il vigliacco, ha alzato bandiera bianca mentre salivo le scale in ufficio. A onor del vero devo far presente che lui, dei segnali, mi li stava dando già da un paio di giorni ma io non ho voluto ascoltarli. E così martedì è stato saltato, ma promettendomi di rimediare immediatamente giovedì. Ma così non è stato, perché giovedì, causa uscita più tardi dal lavoro e impossibilità a usare il mio fidato tapiro, ho dovuto nuovamente rimandare, con mio grande dispiacere.

Nel mentre si avvicinava il week end, e le ultime notizie davano tempo primaverile con blocco delle auto, un binomio perfetto, anche per uno come me che non avrebbe dovuto fare chissà quanti chilometri. E infatti avevo giusto appunto proposto ai mie due esimi colleghi, di organizzare e trovarci per un pezzetto assieme. Ma come diceva la Littizzetto nell’imitazione della zingara girando la carta maledetta: “La merda secca!pua pua pua…”. Già avevo pescato quella carta. E infatti venerdì, dopo un’infinita riunione, sono arrivato a casa con l’idea di cambiarmi al volo e andare a correre, e invece lui saliva da solo ma da solo non scendeva…

Il bollettino medico non era dei più tragici, sia ben chiaro, ma mostrava chiaramente come sarebbero stati quelli delle ore seguenti. Il suddetto dichiarava che le condizioni erano qualche lineetta di febbre, mal di gola e dolori su praticamente ogni centimetro del corpo.

La mia dolce metà, armatasi di spirito da crocerossina, mi ha curato e accudito nei migliori dei modi che la medicina, e non, abbia da offrire, e infatti sabato mattina ero un uomo nuovo. Ringalluzzito dalle cure ricevute e dalla splendida giornata, abbiamo passato il pranzo fuori dalle calde, comode e sicure mura domestiche, non sapendo che avrei pagato questa scelta nel primo pomeriggio, perché tornati a casa lui saliva da solo ma da solo non scendeva. Voglio precisare che questo non è affatto da considerare come un effetto alle cure ricevute. Lui è ovviamente il mercurio del termometro impietosamente si attestava fino ad avvicinarsi ai 38°. I dolori aumentavano come se mi avessero preso a bastonate tutta la notte e il raffreddore iniziava a farsi sentire.

In sostanza un bel week end a concludere una entusiasmante settimana.

Già…

lunedì 7 febbraio 2011

Teleologismi

"Allora, mi dica sig. Soncini. Lo scopo... qual'è?". Pausa. "Lei cosa vuole. Guarire o correre la Maratona?".

Il soggetto che mi pone la domanda è un ortopedico. Uno piuttosto bravo, ci troviamo all'interno di uno studio associato, specializzato in ortopedia e riabilitazione, all'inizio di via Visconti di Modrone.
Ha l'aspetto giovanile, un po' trasognato, i capelli brizzolati ed è magro e in forma. Sembra anche simpatico e mi guarda con affettuosa indulgenza.

Mi ha appena diagnosticato una "tiltatura delle rotule...cioè.. un inclinazione". Cioè...Posta come neutra, ovvero zero, la normale inclinazione delle rotule, rispetto a tale neutro piano di riferimento le mie rotule sono leggermente inclinate, ruotate. Di quanto non si sa. Potrebbero essere due millimetri, potrebbero essere due centimetri. Ovviamente, per sapere con certezza quanto inclinate, ci vogliono degli esami, e per avere i risultati arriviamo ai primi di marzo.
E la Maratona di Roma, guarda caso, è proprio il 20 di marzo.

Dunque, è solo questione di scopi. Correre la Maratona o camminare ancora a 50 anni? Non sono proprio questi i termini in cui mi è stata messa la questione, ma le due immagini che si contrappongono nella mia mente sono le seguenti.

La prima.
Ho le braccia sollevate al cielo. Il sole filtra attraverso delle aperture semicircolari poste a una ventina di metri d'altezza. Davanti a me un semicerchio rosso in plastica gonfiabile e un cronometro che segna il tempo. C'è anche Cri, mi guarda sorridendo e mi incita a percorrere gli ultimi metri.
Perché ce l'abbiamo fatta. L'abbiamo corsa tutta la maledetta. Abbiamo conquistato Roma e la città ci festeggia.
Siamo dei maratoneti.

La seconda.
Sono seduto su un divano. Uno a caso. Le note caratteristiche sono che è polveroso e la luce filtra attraverso i buchi di una tapparella semi abbassata. Davanti a me ho una televisione accesa e sulla mensola che la sovrasta c'è un inutile premio ricordo di una cazzo di gara che ho voluto fare a tutti i costi.
Sarebbe anche una bella giornata, ma senza cartilagine non si cammina tanto bene.
Meglio rimanere seduti

"Correre la Maratona!"
L'affettuoso ortopedico annuisce e sorride. Mi confessa che "sa, a novembre, ho corso la mia Prima". Anche lui aveva dolori dappertutto e si è fatto di Aulin durante la Maratona. Non sapendolo, risponde a uno dei quesiti che mi ero posto negli ultimi giorni.
"Prendere una o più bustina di Aulin mentre si corre una Maratona è un comportamento letale?"
Lui testimonia di no, molto bene.

Sono strane le associazioni di idee e le immagini che certi episodi, certe frasi, riescono a scatenare. L'affettuoso ortopedico (se fosse un giornalista, sarebbe Severgnini), riesce a riportarmi alla memoria un tizio in canotta. La canotta è nera, traforata in modo da far intravedere la pelle. Ovviamente, davanti al petto villoso oscilla arrogante una croce d'oro.
Fa caldo e di fronte a lui siamo in tre. Con me ci sono Cristiano e Federico. Il luogo in cui ci troviamo: Ibiza. Il tipo che ci sta davanti: quello a cui abbiamo regalato un sacco di soldi per avere biglietti e dritte sulle discoteche. Non riesco a ricordare il nome.
Ma ricordo la domanda che, a noi che gli chiedevamo dove ci fosse la musica migliore, ci rivolse per farci capire che se lui diceva Space, allora doveva essere Space.
"Scusatemi. Ma fatemi capire una cosa. Ma voi tre...vi scopate la musica o vi scopate la figa?".

A volte non c'è possibilità di scelta. A volte è lo scopo che decide tutto, che dà la destinazione finale e decide al posto tuo.

E lo scopo è Roma

It's a long way to the top (If you wanna rock 'n' roll)

Il mio amico Paolo P. oggi sarebbe fiero di me.
Paolo P. è stato il primo metallaro che ho conosciuto. Ha dato i primi segnali di metallitudine attorno ai 10 anni. Io compravo per cinquemila lire le cassette tarocche di Jovanotti al mercato davanti a casa mia e già mi sentivo piuttosto rock 'n' roll ("Sei come la mia moto, sei proprio come lei / andiamo a farci un giro fossi in te io ci starei.. "Ci starei a fare cosa? Quante raffinate doppie letture mi sfuggivano all'epoca..). Lui iniziava a parlare di Alice Cooper, dei Metallica e dei Sepultura. Io con uno sforzo di ribellione arrivavo ai Gun ' n 'Roses, al massimo. Non mi fidavo in generale di quei capelloni sudati, truccati, con le vocine stridule. Cattivi. Sicuramente drogati.
No Vasco, no Vasco. Io non ci casco.

Oggi Paolo P. sorriderebbe compiaciuto a vedermi iniziare un post con una citazione degli Ac/Dc e forse mi perdonerebbe per la mia ignoranza passata. In fondo era giovane e cattolico all'epoca, il Girola.
Chissà se corre, Paolo P.
Sicuramente poga.
Sarebbe fiero anche di sapere che ieri ho corso per 32 km, attività che ritengo sufficientemente rock 'n' roll da meritarsi un titolo introduttivo degli Ac/Dc, appunto.

Non so se 32 km interesserebbero Paolo P., ma sono sicuro che incontrerebbero l'approvazione persino del podista integralista, quella figura di taliban del running che, come scrivevo settimana scorsa, disprezza i tapis roulant.
Lo so perchè interessandomi di soppiatto al mondo dei runners seri, ho scoperto che questo genere di allenamenti loro, i podisti integralisti, li chiamano lunghissimi. L-U-N-G-H-I-S-S-I-M-I, avete capito? E' un nome bello cazzuto per un allenamento, "lunghissimo". Ha un'eco roccosifrediana che gratifica.
I 32 sono l'allenamento più lungo che la Tabella prevede in vista della Maratona di Roma. Li prevede due volte e ieri era la prima. Oltre i 32 non si va. La cosa meravigliosa è quindi che, il giorno della gara, quegli ultimi dieci km che dal 32esimo mi porteranno al sogno dell'arrivo sotto il Colosseo saranno un'incognita totale, un territorio sconosciuto fatto di dolori muscolari stereofonici, visioni di santi e di draghi e preghiere lisergiche. Hic sunt leones (traduzione libera: E mo so' cazzi tua), come avrebbero detto saggiamente i romani, quelli di una volta.
I 32 di ieri son andati bene, devo ammettere. Di qui a dire che ne avrei fatti in scioltezza altri dieci ce ne passa, chiaramente. Però li ho macinati bene, con un ritmo discreto, senza nemmeno i dolori patiti domenica scorsa sul finale dell'allenamento da 28.
Un po'sicuramente è da imputarsi all'allenamento, che sta funzionando. Un po' è grazie a loro due. A Carlo, alle chiacchierate e ai silenzi di quelle due ore passate insieme ad attraversare parchi, boschi e strade. E alla Bionda, che la domenica ha sempre un ruolo strategico nel dare carburante alle mie performance da runner. Di solito venero (e condivido con i lettori del blog) il pranzo con cui mi sorprende al mio ritorno. Ma questa volta a quello risponderò con i fatti, preparandole io un risotto super, stasera. No, stavolta la copertina se lo merita il prima, il vero fuel della mia performance: la nostra colazione a letto. Banana affogata in spremuta home made, toast prosciutto e formaggio, altrettanto home made. Fuori quadro: prodottini mollicci della Enervit e Virgin Radio Television on air.
Eccola, morite di invidia :-) :


domenica 6 febbraio 2011

Bloccaporto

Oggi, domenica 6 febbraio 2011, Carletto e Cristiano hanno corso insieme per la prima volta dall'estate scorsa.

L'evento è memorabile, e ho già ricevuto visita da un agente Treccani che voleva particolari piccanti da pubblicare sulla nota Enciclopedia.
Se storia diverrà, Loro sono già sul pezzo.

16 gradi ed il sole a Febbraio non passano inosservati. Anche i Piovono Runners si sono dati da fare per farsi notare il più possibile, occupando quanta più carreggiata riuscivano. Cri era vestito da Calimero travestito da spermatozoo, con inserti Fluo per attirare le falene. Io sfoggiavo una mise ultraderente che metteva in risalto le mie curve.

Dicevo che l'evento merita menzione. Sembra strano, ma correre insieme una mezza maratona o una maratona, spesso, significa solo salutarsi alla partenza e rivedersi all'arrivo. Oggi invece ci siamo fatti compagnia e chiacchierato per un paio d'ore, mentre accumulavamo chilometri nelle gambe.

Premettiamo subito che Cri è arrivato sotto casa mia con già 5 chilometri buoni nelle gambe, e che, a un certo punto, gli ho tolto le briglie ed è scattato verso gli ultimi dieci chilometri del suo lungo da 32.
Però circa 18 li abbiamo corsi assieme.

Il giro ci ha visto partire da Piazza Piemonte, transitare in piazzale Zavattari, scivolare affianco al Lido e approdare alla Montagnetta di San Siro, o Monte Stella. O come cavolo volete chiamarla. Gran Giornata, frotte di runners, l'abbiamo circumnavigata un paio di volte e poi fatto vela verso il Parco di Trenno. Da qui siamo andati al bosco in città, un giretto nelle campagne e intrapreso la strada del ritorno.

Di nuovo Parco di Trenno, siamo passati sotto l'ombra dello Stadio di San Siro, e poi da lì verso casa. Avevamo corso assieme quasi 18 chilometri a buon ritmo e le mie gambe iniziavano a protestare. Così ho lasciato che Cri prendesse il largo e sono tornato a passo tranquillo verso casa.

Il blocco del traffico è una buona cosa, ma non si è realizzata la piena riappropriazione del contesto urbano che mi ero immaginato. Tra veicoli autorizzati, trasgressori e semplici sventati che credevano di essere finiti in una candid camera, non si poteva certo andare in giro con la testa fra le nuvole.

Sono contento perché le ginocchia mi hanno retto per tutto il tempo, senza fare male. L'allenamento pare che stia iniziando a dare i suoi buoni frutti. Rimane domani l'appuntamento dall'ortopedico per capire cos'abbia il ginocchio sinistro, che, per non saper né leggere né scrivere, stasera si è bloccato.

P.s. domani grosse novità!

giovedì 3 febbraio 2011

Il tapiro urlante

Il tapiro urlante, conosciuto Oltralpe come tapis roulant, è strumento d'allenamento nonché argomento di discussione dei runner.
Il podista integralista di solito lo disprezza e lo considera una roba da profani. Per lui il tapiro sta alla corsa come il Tavernello al Barolo, Twilight a Dracula o l'altra squadra di Torino al Torino: roba di scarsa qualità, pallida evocazione, mangime per le masse indifferenziate.
Il tapiro urlante, per il podista integralista, segna la differenza tra chi in ogni condizione meteorologica e a ogni ora del giorno batte la strada (che in questo mondo è un complimento, intendiamoci) e chi si rifugia in palestra, tra le cinquantenni del pilates e i maschioni depilatis.
Il podista integralista un po' ha ragione e un po' no.
La strada è incomparabilmente più bella, è l'essenza della corsa, il piacere senza compromessi. E' il sesso senza il preservativo.
Il tapiro, è vero, è sesso inguantato. Io però sono tra quelli che pensano che sarebbe stupido rinunciare al sesso per un'avversione ideologica verso il preservativo. Quindi, quando serve, salgo sul tapiro (che nessuno visualizzi il doppio senso di questa frase, o chiudo il blog).
Il tapiro è comodo. Innanzitutto, a dispetto del nome, non urla. E' mansueto, tranne quando si inchioda di botto mentre stai correndo a 14km/h e ti ritrovi proiettato nell'ignoto spazio profondo come la cagnetta Laika (mi è capitato).
Poi è qui nella palestra del mio ufficio, a 100 mt in linea d'aria dalla mia scrivania. Ci posso andare in pausa pranzo, invece di svegliarmi alle 6 del mattino per correre o dover uscire nella nebbia alle 9 di sera. Aiuta con la regolarità, come il Bifidus actiregularis: imposti la velocità a cui vuoi correre e lui ti costringe a tenerla. Quest'ultima opzione è utilissima fino a quando all'estero, nel mio caso a Berlino, non incontri un tapiro settato in miglia: lì o ti abbandoni a raffinati algoritmi mentali di conversione - so che non è complicatissimo, ma io ho fatto il Classico - o rinunci ed entri in sauna (perchè a Berlino i tapiri sono settati in miglia? Se qualcuno lo sa, ci sono sempre quelle foto discinte di Carlo che sono rimaste in palio da un precedente concorso).
I tapiri della mia palestra si dividono in quattro categorie. La più prestigiosa è quella che comprende i modelli con televisore integrato e posti di fronte alla sala corsi. Questi ti permettono un'ampia gamma di visioni che aiutano a vincere la noia. Spesso la realtà, rappresentata da colleghi insospettabili che tarantolano al ritmo della Zumba o si accartocciano torturati dall'istruttore di Addominali, offre molti più spunti del bouquet di canali a disposizione.
La seconda categoria ha implicazioni motivazionali e morali più complesse, perchè è rappresentata dai tapiri dotati di televisore ma posti di fronte alla vetrata del ristorante. Il sadismo consapevole o inconsapevole dei progettisti di quest'area di Mediaset, ha creato uno scontro di culture. Particolarmente acceso, come è ovvio, nella fase della pausa pranzo. In quel momento si fronteggiano e si guardano negli occhi due mondi lontani. Chi accumula da un lato, chi disperde dall'altro. Non mi è mai stato chiaro chi invidi chi, se scorra ammirazione reciproca, tensione, immedesimazione, superbia, disincanto, empatia, entropia o antipatia. Aleggia comunque qualcosa, nell'aria che divide le due tribù.
Se avverte imbarazzo o invidia, la persona a tavola è comunque libera di concentrarsi sui suoi bucatini e quella sul tapiro può abbassare lo sguardo e dedicarsi al televisore.
Questa libertà di scelta è ridotta per colui il quale si trovasse a correre sulla terza categoria di tapiri, sempre posizionata fronte ristorante ma priva di televisore. A questa persona sarà necessaria una maggiore capacità buddistica di distacco dai piaceri terreni, in questo caso il cibo ostentato dai suoi dirimpettai, e di concentrazione sull'atto della corsa.
La quarta categoria è la più austera, monacale e punitiva della palestra. Vi sono infatti alcuni tapiri urlanti privi di televisore e posti di fronte a una vetrata opaca. Sono gli ultimi ad essere occupati, ovviamente. Richiedono dedizione totale, motivazioni altissime e doti di sublimazione dello sforzo. Anche perchè la presenza del televisore sul tapiro è strategica anche se non lo guardi. Mettere l'immagine a tutto schermo permette infatti di nascondere alla vista lo spietato, e solitamente lento, molto lento, scorrere dei due quadranti luminosi che conteggiano il passare dei minuti e l'avanzare della distanza percorsa.
Se quindi ti trovi sul tapiro di quarta classe non puoi guardare la tv e non puoi guardare la gente che mangia ma puoi solo affondare lo sguardo nella nebbia ipnotica del vetro opacizzato e sperare che vi rimanga intrappolato. Perchè se rimani schiavo del controllare ogni momento quanto hai corso e quanto tempo manca alla fine, la pausa pranzo diventa un supplizio e finisci per rimpiangere rabbiosamente non solo il ristorante e il suo menu di medio livello, ma persino la mensa, quel luogo triste ma democratico in cui il pesce spada, la salsiccia e il riso in bianco hanno tutti lo stesso rassicurante sapore.
Oggi 8 km a 4'55'' al km, come da Tabella. Sul tapiro urlante di quarta categoria, ça va sans dire.

mercoledì 2 febbraio 2011

Il buio oltre la porta

Ieri, mentre stavo andando a mangiare in pausa pranzo con i colleghi di Studio, mi è arrivata una di quelle chiamate che ti cambiano la giornata. In peggio.

La mattina ero andato a correre al Parco Sempione. Dovevo provare i nuovi acquisti.
Beh, si sono rivelati meravigliosi, il freddo percepito è stato abbattuto di quasi la metà. Credo proprio che comprerò un altro paio di magliette intime della Kipsta (Oramai, per me, mitica marca della Decathlon). Anche per andare a fare snowboard.
Arrivato al parco ho cercato inutilmente di rimanere al passo di Agnese e dei suoi scatti da un minuto con breve recupero sempre di un minuto (in gergo tecnico si chiamano fartlek). Parte della dignità era rimasta a terra, nei circa cinquanta metri e a crescere di distacco che mi dava ad ogni scatto. Ho conservato la poca avanzata grazie ad un'udienza alle ore nove, che mi ha "costretto" a tornare a casa prima.

Quindi casa, doccia, cravatta, metro, Tribunale. Prima udienza tutto bene. Rinvio breve al 20 ottobre 2014. Da un'aula all'altra, finisco in udienza con una collega. Conciliamo. Oramai si è fatta una certa, torniamo in Studio e andiamo a mangiare.

Arriviamo alla telefonata che trasforma.
Squilla il telefono. Ed è la portinaia. Mi dice che sono arrivati i tecnici della A2A. Le rispondo che non aspettavo nessun tecnico, "perchè sono lì?" chiedo. Per staccare la corrente, mi risponde.
Non è stato panico.Qualcosa di più simile a un buco nero.
Mi fiondo alla sala clienti della A2A in Francesco Sforza. Prendo il biglietto, alzo lo sguardo al tabellone. Tempo medio attesa 85 minuti. Dopo un'eternità parlo con un tizio. Pare che tra me e mia madre sia passata inosservata una bolletta di ottobre. Sotto silenzio è andato anche il primo sollecito di novembre e il sollecito di dicembre. Le altre bollette pagate (mistero).
Monviso a cattivo gioco (questa la capisce solo Cri, e anche io ho delle difficoltà, ero troppo ebbro ieri sera per ricordare), pago e chiedo come fare a ripristinare la corrente.
L'affabile impiegato mi assicura che non è stato staccato nulla (a saperlo non pagavo un cazzo!).

Il resto della giornata è noia e lavoro. Torno a casa, apro la porta, e... "clic".
Curioso che l'interruttore faccia lo stresso suono di una pistola che fa cilecca.
Perchè nel mio caso ha fatto cilecca anche l'interruttore. Ripenso all'impiegato e al suo sorriso caldo e sornione al tempo stesso Alla frase "di solito quando incontrano le portinaie non staccano nulla", e alla mia stupida ingenuità che gli ho anche creduto. Che fare? E che vuoi fare alle nove di sera? Ho utilizzato il flash del cellulare tipo torcia (il mondo delle App ha trovato impiego, finalmente) e brancolato per casa. Poi Kaputziner, birra e battutona sul Monviso a cattivo gioco.

Stamattina niente corsa. Posso anche farmi la barba dopo aver scaldato dell'acqua su un tegamino, ma la doccia post corsa non è proprio cosa da improvvisare. Verso le nove e mezza ottengo giustizia, riparte la caldaia, mi lavo mi cambio e arrivo in Studio.

Sipario