venerdì 25 marzo 2011

Charlie e la Maratona (di Roma) - parte seconda

segue

Per i primi quattro chilometri circa corriamo assieme. Poi un cenno di intesa, ci stringiamo la mano e ci separiamo. Per una decina di minuti ancora vedo la maglia rosa di Cristiano, poi la folla ci separa definitivamente.

Solo. Per i prossimi 37 e passa chilometri e chissà quanto tempo.

Inizio a guardarmi intorno, decido che posso raggiungere i palloncini delle quattro ore, tanto di tempo per rallentare ne ho quanto ne voglio.  Più o meno a questo punto incontro due enormi danesi che mi accompagneranno per circa 25 chilometri. O meglio, ogni tanto vedo lo sguardo perplesso di uno dei due che, muto, si chiede cosa voglia questo strano tipo di nero vestito che gli si è appiccicato al culo.
Faccio tutto per bene, ogni cinque chilometri bevo una bottiglietta d'acqua e ingurgito una pastiglia di carboidrati. Poi dal quindicesimo inizio anche a mangiare le arance e le mele. Il ritmo è costante. Seguo i due danesi. 

L'arrivo in Piazza San Pietro è da brividi. La Basilica si staglia da lontano e si solleva progressivamente sino a riempire l'orizzonte e lo sguardo. Tutta la strada, per la sua intera larghezza di quasi 30 metri è solo per noi. C'è addirittura chi si ferma per fare qualche foto ricordo. Mi passa vicino un tizio vestito da Puffo, che poi si ferma a farsi le foto coi turisti.

Improvvisamente sento una fitta al ginocchio sinistro. Ma sono preparato. Tiro fuori una delle due pastiglie di Momendol che mi sono portato dietro e la ingurgito. Col senno di poi ne avrei portate il doppio. Passano quelli che sembrano ancora pochi chilometri e arriviamo alla Mezza Maratona. Guardo il cronometro ufficiale, segna Due ore e tre Minuti. Il mio GPS mi dice che da quando l'ho fatto partire, sulla linea di partenza, sono trascorse Un'ora e Cinquantatrè minuti. Completamente inaspettata, cala la consapevolezza di essere appena a metà. Se tutto fosse andato bene, avrei dovuto correre per almeno altre due ore. Penso al fatto che non sono stanchissimo, ma che il doppio della stanchezza accumulata sinora è proprio tanto. Vedo uno vestito da Suora che zompetta di fianco a me. Un corridore gli chiede se sa che c'è una suora vera che corre la maratona. Lui risponde che è sua sorella e che corre vestito così per lei.

Inizio a fare progetti a breve termine. Intanto arriviamo ai trenta, mi dico. Poi ci penseremo. Il fattaccio accade al 26esimo chilometro. Non riesco a prendere la bottiglietta d'acqua al volo e devo fermarmi. Immediatamente divento tutt'uno con l'asfalto. Il ginocchio sinistro non si muove più. Arranco verso uno spiazzo e faccio stretching. Dopo un paio di minuti riesco a riprendere a camminare, poi di nuovo trotterello, e infine riprendo a correre. Ma oramai le gambe hanno accusato il colpo. I polpacci iniziano a contrarsi involontariamente. Il ginocchio è rigido e fa un male cane. Devo camminare, e pure piano.

Ero arrivato al venticinquesimo chilometro in due ore e 25 minuti. Arriverò al trentesimo, soli cinque chilometri più avanti, dopo TRE ore e sedici minuti. Un'ora per fare cinque chilometri. Intanto iniziano a passarmi di fianco i palloncini dei pacemakers. Passano le quattro ore. Poi le quattro ore e un quarto. Quattro ore e mezzo. Mi superano perfino quelli delle quattro ore e quarantacinque minuti. Sta diventando una disfatta. Nel frattempo, però, ho ripreso a camminare spedito e ho mangiato quantità industriali di banane e mele e pere. Ho anche bevuto litri di gatorade e la cosa sta iniziando a fare effetto.

I chilometri sono diventati circa 33, mi trovo in un Tunnel e una tizia mi passa di fianco urlandomi che oramai mancano solo 9 chilometri. Le credo e riprendo a correre, dopo cento metri lei si ferma. Io vado avanti. Non mi fermerò più. Farò un pezzo di strada con un padre che spinge il figlio tetraplegico in carrozzina, rivedrò il puffo e per un po' correrò con uno travestito da Italia e la bandiera in mano.

Nel frattempo sono ritornato in centro. Piazza del Popolo è stracolma di gente, Piazza Navona e Piazza di Spagna ci accolgono in tutta la loro bellezza. Alla Fontana di Trevi capisco che oramai è quasi fatta. Continuo a ingozzarmi di banane e arance. Passo davanti all'Altare della Patria. In alto, immobili e solitari, i due piantoni fanno la guardia al milite ignoto. Sotto di loro passa un fiume multicolore di corridori. Un tizio, appena sotto l'arco dell'ultimo chilometro, caccia un urlo e si accascia al suolo con i crampi. A me inizia ad allargarsi il sorriso. Affronto con grinta la salita che gira intorno al Colosseo. Altri si fermano e camminano, ma oramai voglio arrivare di corsa.

Poche centinaia di metri e taglio il traguardo.

Mi mettono al collo una medaglia e mi coprono con una coperta termica. Per un po' vago senza meta. Poi vedo un punto dove danno gatorade e mela. Piano piano mi ricordo che ho uno zaino con dentro roba pulita e calda. Mi cambio così, in mezzo alla gente. Poi mi sdraio al sole per un po'.

Oggi sono qui alla mia scrivania. Ancora non ho metabolizzato bene. Ho però l'insano desiderio di correre di nuovo. Insano perché ancora zoppico quando cammino. Eppure la Maratona mette  abbrivio. Inverte i poli. Prima ti chiedi come farai a continuare a correre. 

Dopo cosa ti convincerà a fermarti

Charlie e la Maratona (di Roma) - parte prima

Quattro giorni che sembrano quattro minuti.
Non sono ancora tornato da Roma, non con la testa. E anche il fisico l'ho lasciato giù nella Capitale. Stiracchiato, grattuggiato e spalmato lungo Quarantadue chilometri di asfalto e San Pietrini.

Già ho pubblicato alcune foto, adesso provo a raccontare cosa è successo durante la mia Maratona. Le quattro ore e cinquanta minuti di domenica non esauriscono la Maratona. La Maratona inizia prima. Ben prima, perfino, dei tre mesi di allenamento. E non termina sulla linea del traguardo, lo travalica e ti segue.

Inizio quindi da lontano (potrei annoiarvi ancora di più e tornare indietro di una quindicina d'anni, ma...). Esattamente dal 19 settembre 2010. è domenica, sono le undici e mezza della mattina. Ventuno chilometri di parco di Monza sono alle mie spalle. Li ho percorsi in un'ora e quarantasei minuti e sono al settimo cielo. Un buon primo tempo ed un mese per arrivare a correre la Mezza Maratona di Cremona insieme a Cristiano.
Nell'entusiasmo totale dei giorni seguenti, lo convinco a mettere in programma la 33 chilometri Milano-Pavia di Novembre. Inespresso, solo accennato, buttato lì quasi per scherzo, c'è il pensiero che fatti 33, altri nove li aggiungi facile. Poi il primo infortunio. Salto Cremona, salto anche la Milano-Pavia. Ancora quasi due mesi dopo, se appena accennavo un passo di corsa, mi bloccavo.

Ma il germe era stato piantato. E quando Cri, a dicembre, mi ha detto: "corriamo la Maratona a Roma", ho risposto di sì. Anche se non correvo da mesi, anche se mancava poco, anche se sapevo che non sarei riuscito a prepararmi a dovere. Ce lo eravamo promessi a vicenda. Correremo la nostra prima maratona assieme. Non poteva essere altrimenti. Devo la mia Maratona a quella promessa.

Tre mesi di freddo, gelo, dolori articolari, contratture, farmaci, sudore e dubbi dopo, mi ritrovo, un venerdì sera, su un aereo diretto a Roma. Unica certezza è che la domenica sarò alla partenza.

La Maratona è stata una lunga due giorni (e mezzo), fatta anche delle melanzane ripiene (a mezzanotte di venerdì) di mia Zia Alba, del bicchierino di Jagermeister bevuto con lei la sera, delle chiacchiere con le mie cugine (le ho trovate davvero cresciute. Le ricordavo proprio bimbe), dei lunghissimi passaggi in macchina cui ho costretto lo Zio Andrea. Mi sono intrufolato nella loro quotidianità allo scopo di correre la mia Maratona e loro si sono adattati. Anzi, mi hanno quasi guardato con un misto di rispetto ed ammirazione. Grazie mille, anche se non leggerete mai questo post, vi voglio bene.

Sabato mattina vado a fare una corsetta. Cristiano mi ha vivamente sconsigliato di farlo, ma sono più di dieci giorni che non corro e voglio sentire le gambe. Esco con la Zia. Porto il GPS perché lei vuole sapere quanto corre. In totale facciamo un chilometro e mezzo camminando e un altro chilometro correndo. Un'inezia, ma ho assaggiato il terreno, sono pronto.

Banco frigo
Finisco in un supermercato a fare la spesa per il pranzo e vedo il seguente banco frigo. Non ne avevo mai visti di simili prima. In quel modo ero abituato a comprare le caramelle al cinema , non il pesce surgelato.
Comunque sia, la tappa serve a recuperare la materia prima per il primo di tre pasti memorabili. Non sono ancora riuscito bene a capire quale parte della frase "No Zia, devo stare leggero, non fare nulla di speciale,  che poi domenica non riesco a correre" non sia arrivata a destinazione, ma dopo il terzo bicchiere di vino non me ne importava più niente.

Verso le tre e mezza del pomeriggio mi incontro con Cristiano e la Bionda al Palazzo dei Congressi, dove è stato installato il Marathon Village. Fino a quel momento era ancora tutto un po' irreale, poco concreto. Dopo aver ritirato zaino e pettorale,  invece, è come sorta una specie di obbligazione a presentarsi il giorno dopo, e far vedere che sei lì perché ce la puoi fare. Tendo ad abbracciare Cristiano in modo eccessivo, soprattutto considerando che la Bionda ci osserva, e non vorrei salutarli, ma rimanere con loro il più a lungo possibile. Il commiato segna la fine della giornata, scatto alcune foto al Colosseo ed alla finish line, poi torno all'ovile.

La sera, dopo aver mangiato chili di pizza e bevuto due birre, mi porto avanti. Non l'ho mai fatto. Ma devo smontare la tensione. Attacco il pettorale. Per chi non lo sapesse, nessuno è riuscito ancora a inventare un metodo più pratico di quattro mini spille da balia con le quali perforare il pettorale e la maglietta. Pensateci, in ogni busta con pettorale ci sono quattro mini spille. 16.000 buste per quattro spille. Un'enormità.

Camion deposito zaini

La mattina della domenica ho puntato la sveglia alle sei. Non fa in tempo a suonare che sono già pronto. Bello vestito alle sei meno un quarto. Per colazione mangio uno stick di gelatina che sa di Arancia. Alle otto arrivo all'appuntamento con Cristiano. Tiro fuori il secondo stick di gelatina all'arancia e mi mangio pure a quello. Nel frattempo intorno a noi passa gente di ogni nazionalità e fattezze. Quando decidiamo che è il momento di scaldarci e ci infiliamo fra la folla, la temperatura sale improvvisamente di qualche grado. Lasciamo gli zaini nel camion dell'organizzazione e partiamo per una breve corsa di riscaldamento.


Sono quasi le nove meno un quarto e decidiamo di avviarci vero le gabbie di partenza. Non solo siamo nell'ultima gabbia a un passo dagli anzianotti che la faranno camminando, ma siamo persino molto indietro, la linea di partenza è nascosta, dietro una curva.
Ci guardiamo e vedo negli occhi di Cristiano riflesso quello che sento. Emozione, tensione, paura, orgoglio.
La massa inizia a muoversi, da qualche parte avanti è stato dato il VIA.

continua

giovedì 24 marzo 2011

E adesso?

E adesso si ricomincia. Anzi, si rilancia. Meglio ancora, si raddoppia.
L'evento clou delle prossime settimane sarà l'esordio ufficiale della squadra di Piovono Runners, con tanto di magliette e logo ufficiale, alla Maratona di Milano, domenica 10 aprile.
Saremo presenti alla gara a staffetta e correremo per la onlus Fondazione Pupi.
Stiamo preparando un super post di presentazione dei quattro elementi della squadra, che pubblicheremo lunedì. Sarà una cosa diversa da tutto quello che abbiamo pubblicato fino ad ora, ma non vi svelo altro.
Cliccateci e vedrete...

Nel frattempo il board di Piovono Runners sta discutendo anche di una possibile partecipazione alla Stramilano, che si terrà tra tre giorni. Quella easy, da 10 km, perchè per la 21 km c'è chi è troppo stanco e chi non è ancora pronto...
Per quanto mi riguarda, la voglia di farsi una domenica di completo relax dopo quattro mesi lotta ferocemente con l'impulso quasi irrazionale a rimettersi in strada e ricominciare subito a correre.
Mah...vi terremo aggiornati sulla nostra eventuale partecipazione. Nel caso, ovviamente, troverete anche stavolta il racconto in parole e immagini dell'evento, da parte di chi di noi avrà deciso di esserci.

Insomma, come ci ha insegnato la maratona di Roma, si può rallentare il passo ma non ci si può fermare. E Piovono Runners rispetta religiosamente questo motto.
Siamo pronti a rimetterci le scarpe.

mercoledì 23 marzo 2011

Cosa usa Babbo Natale quando scappano le renne?

Nizza torna con una storia dai toni thriller. Ce la farà il nostro eroe?
Io da quando ho letto questo post, fremo.

Definizione:
Dolore e rigidità al camminare o al tentare di sedersi, da uno o entrambi i lati; può esserci gonfiore e una colorazione bluastra


La prima fase è accaduta venerdî 18 marzo alle ore 13. La giornata iniziava sotto i migliori auspici. Innanzitutto era un giorno di ferie, che mi ero preso per onorare il centocinquantesimo anniversario del Bel Paese. Il secondo era il fattore climatico. Il caldo che ha accolto le mi gambette parzialmente coperte dai pantaloncini corti. Il terzo era la voglia di corricchiare in semitenuta estiva. Bellissimo.
Per non perdere totalmente la giornata ho deciso di tornare alla collinetta, luogo di gioie e dolori.
Tutto procedeva alla perfezione. Il respiro era buono, le gambe rispondevano bene ed ero anche riuscito a superare un paio di persone. Certo non sto parlando di kenioti professionisti, ma fa sempre piacere superare qualcuno.

Poi dopo 4 km, mentre gli uccellini cinguettando salutavano il mio passaggio, la definizione si é materializzata con una fitta sempre più crescente. Sembrava essere il classico dolore alla milza,e nonostante la mia conoscenza dell'anatomia non sia eccelsa, notavo che la fitta arrivava da una posizione più bassa. Ho provato con il vecchio sistema quando qualcosa di elettronico non non vuole funzionare. Resettare tutto. Ho iniziato a camminare, perché non bisogna mai fermarsi. Ma più rallentavo e più la fitta aumentava. Allora ho provato a ricominciare ad aumentare il passo ma nulla, era troppo forte la fitta.
Quindi tutto mesto ho deciso di dirigermi verso casa.

Mentre lento e dolorante ripiegavo  la beffa delle beffe. La mia deambulazione non era delle migliori, ma in tenuta da runner facevo ancora la mia porca figura. Conservavo ancora una parvenza di sportivo serio, poi lui, un ottuagenario con bastone mi supera con il suo passo claudicante.

Li lo sconforto mi ha colpito come un treno in corsa. Tutti i risultati raggiunti sono stati cancellati da quel ciborg retrodatato.

La farmacista e internet mi consigliano Voltare come se piovesse (ecco la risposta al quesito nel titolo) e riposo,ma il tempo stringe e non posso mica adagiarmi troppo. Quindi ho deciso uno stop forzato di 5-6 giorni e poi riprovare. Ora fa ancora male. Fa male quando cammino, fa male quando salgo in macchina o sul motorino.

Oggi però va decisamente meglio e proverò a corricchiare un pochino stasera, così da vedere cosa ha prodotto la combinazione riposo e pomata.
Spero che tutto vada bene e prometto di tenervi aggiornato

martedì 22 marzo 2011

La mia Maratona (parole, foto e persino dei video)

Non so da dove cominciare, davvero.

Fino a ieri per me la Maratona era questa:
La curva Maratona, quella del mio Toro, in cui ho speso le migliori (3, forse 4) e le peggiori (tutte le altre) domeniche della mia vita da 15 anni a questa parte.
Dopo aver abbondantemente sofferto in quella Maratona, ho deciso, per assonanza emotiva, che era il caso di andare a spremere un po' di dolore anche in quell'altra, quella dove si corre invece di saltare, dove si ansima invece di bestemmiare, dove non ti puoi incazzare se uno di quelli in campo non sputa l'anima, perché stavolta l'anima da sputare è la tua.

Come tifoso granata ero predisposto al sacrificio, insomma.
Come runner anche, avevo fatto le cose per bene con un serio allenamento di quattro mesi alle spalle.
Come bambino cresciuto a Roma e come adulto innamoratissimo di quella città non potevo scegliere meglio la location per il primo tentativo.
Come compagno non potevo chiedere di più, c'era il mio amico Charlie.
Come compagna nemmeno, giusto Bionda?


Correre a Roma libera molto più che semplice sudore, dice questa pubblicità fotografata in metropolitana.
Già, molto di più.
Mai nella mia vita mi ero preparato per quattro mesi focalizzandomi su un solo evento. Forse solo per la tesi di laurea. Quindi immaginatevi quanta roba avevo addosso, nella testa, nella pancia, nelle gambe. Voglia, carica, tensione, paura, emozione, competitività, stanchezza, esaltazione.
Roma amplifica tutto. L'eco emozionale tra i suoi monumenti è spaventosa, ogni desiderio rimbomba, ogni passo è Storia. Ieri è stata la mia storia. La mia prima maratona.
Permettetemi di raccontarvela. Mi dilungherò il meno possibile, ma un po' sarà necessario...

Sabato: il peggior incubo per un romano d'adozione come me è non potersi abbuffare in trattoria quando si torna a Roma. L'incubo è più orribile se hai l'albergo a due passi da Testaccio e se la tua ragazza, seduta di fronte a te, mangia come una autotrasportatore texano che abbia appena attraversato il deserto senza trovare un Autogrill aperto.
Pranzo e cena in due osterie veraci ed entrambe le volte mi sono limitato ad un primo (per carità, gricia e pajata, mica sono COSI' stupido...). E basta. Beh, alla sera un bicchiere di vino l'ho bevuto...
Nel pomeriggio abbiamo incontrato Carlo al ritiro pettorali, ecco il primo abbraccio tra i runner:

Lì, ho capito una prima cosa. Il vero maratoneta entra nel mood da corsa non qualche ora prima. Lo fa giorni prima. E lo fa partendo dai dettagli: io e Carlo eravamo praticamente gli unici con i jeans e i vestiti urbani. Gli altri erano tutti in tuta e scarpe da corsa. La versione podistica dell'abito buono della domenica, l'unico degno di essere indossato per entrare nello spirito del sacro weekend della maratona.
Charlie, ne abbiamo ancora di strada da fare.
Non mi sono però fatto mancare una firma sul Wall of Fame della gara, come se fossi anch'io uno di quelli veri:
Poi con Charlie e la Bionda siamo andati ad annusare il terreno di gara, così, tanto per capire che aria tirava e avere più tempo per assorbire l'impatto della maestosità del luogo di partenza:
A destra, fuori dal campo della foto, c'era il Mostro. Voi non potete vederlo e nemmeno io me ne sono accorto in quel momento. Fregato dalla maestosità, non mi sono accorto che era un altro l'urto a cui avrei dovuto prepararmi. Ma ne parleremo dopo.

Domenica, il pre gara: sveglia alle 6.45, dressage (so che ha a che fare con i cavalli, ma a me è sempre sembrato anche un modo elegante per dire che mi sono vestito di tutto punto) e spalmage di cremine. Assunzione di pastiglie, gel e frugale colazione. Uscita dall'albergo.
Una delle cose che amo di più delle gare di corsa è l'uscita mattutina per recarsi al luogo della gara. Domenica, la città dorme, la luce è inconsueta e le uniche figure che vedi sono runner (e proprietari insonni di cani insonni). Anche questo scenario, bello ovunque, a Roma è ancora più spettacolare. Scendere dall'Aventino, dove avevo l'albergo, ritrovarsi davanti le rovine del Palatino, attraversare il Circo Massimo immaginandolo pieno di bighe (no, non fate i maliziosi, non è un errore di battitura, è un fatto storico..), girare l'angolo di Via San Gregorio e passare all'improvviso da una città fantasma ad un suk fatto di migliaia di esseri umani che si scaldano, fanno stretching, si cambiano, pisciano (sì, anche questo è running: la gente prima e durante le gare piscia ovunque), scherzano, chiacchierano in trenta, quaranta lingue e dialetti diversi, si travestono (ho visto puffi, centurioni, parrucche di ogni tipo, passeggini, tute da imbianchino..), scherzano o cercano disperatamente la concentrazione come un ago in un pagliaio di emozioni, odori e rumori.
Alle nove meno un quarto ci infiliamo nelle gabbie di partenza. Come vi raccontai al tempo, visto che gli organizzatori e i top runners ci temevano tantissimo, a me e Carlo sono stati affibbiati due pettorali altissimi e siamo costretti a partire dal fondo. Volete sapere quale è la cosa più umiliante, seriamente? Le gabbie erano denominate per numero di pettorali. La nostra, oltre a essere quella "dal 7000 in poi" riportava una scritta in appendice " e fitwalking". Cioè, non solo i runners, già quelli più scarsi, ma pure gli anziani che camminano, le signore che fanno i corsi in palestra o quel cavolo che significa "fitwalking". Sicuramente non significa runners, ma qualche specie meno evoluta nella catena alimentare del podismo.
E vabbè, gliela faremo pagare.
Ci posizioniamo nel magma umano e dal nostro punto la partenza non si vede nemmeno, è dietro una curva.
Tanto meno si sente lo sparo, semplicemente a un certo punto il millepiedi, di cui noi rappresentiamo quattro orgogliose zampette pelose, inizia lentamente a muoversi, gli orologi segnano le nove e noi due, che siamo entrambi laureati, sintetizziamo queste due informazioni e traiamo la deduzione che la gara sia cominciata.

Domenica, la gara: partiamo insieme, io e Charlie. Il primo tratto è tutto uno schivare le persone, infilarsi nei pertugi, guadagnare metri, dare e prendere gomitate, sventare sgambetti involontari. Il millepiedi è spietato, denso, compatto. 16.000 persone e si sentono tutte. Avevamo deciso che l'avei accompagnato fino a raggiungere i pacers delle 4h30', poi ognuno per la sua strada. Ci arriviamo, ce n'è più di uno e lui sceglie l'unica carina.Beh, giusto, servono stimoli in una gara così faticosa. Ci salutiamo.
Dopo 500 metri me lo ritrovo accanto.
"Carlo?"
" Ciao Cri".
Niente, la sua anarchia innata gli ha impedito di tenere il passo dei pacers, troppo razionale ed organizzata come tipo di corsa (P.S. aveva passato la sera prima a messaggiarmi ragionando su quale pacer seguire e sembrava molto entusiasta della cosa).
Facciamo insieme un altro chilometro, poi ci salutiamo. Questa volta davvero.
Dopo il quinto chilometro la folla inizia un po' a diradarsi, anche se rimarrà piuttosto fitta fino alla fine. E inizia il godimento. Fino al traguardo della mezza maratona è estasi pura, ve lo giuro. Non mi sono nemmeno accorto che stavo correndo. Mi perdo nella città, nei quartieri che attraversiamo, negli angoli che conosco e amo, negli incitamenti della gente (pubblico splendido, per inciso, le gare del Nord se lo sognano un contesto umano così caldo, che ti applaude e ti incita in continuazione), nella naturalità del gesto di correre che mi riesce alla perfezione. Leggero, esaltato, estasiato.
Torno sulla terra solo attorno al 12esimo km, punto prestabilito di incontro con la Bionda. ci vediamo da lontano. Lei mi fotografa, io mi fermo a baciarla. Me lo merito io, se lo merita lei.
Corro con facilità a tempi più bassi di quel che avrei sperato. Errore di gioventù, lo so. Lo pagherò. Seguo per un po'un giapponese avvolto nella sua bandiera, su cui ha scritto a mano "Thanks World". Vedo sulle magliette di due ragazzi il nome di un gruppo podistico e penso sia l'unico al mondo più bello del nostro Piovono Runners: The sole destroyers, i distruttori di suole. Vivo un arrivo frontale a San Pietro che fa venire i brividi. Attraverso Piazza Mazzini, dove andavo a giocare da bambino. Supero la Mezza Maratona sulle ali dell'entusiasmo. Inizia poi la parte meno bella del percorso, a Roma Nord, compreso un passaggio sulla tangenziale. Allietato però da un incredibile gruppo di tifosi canadesi che incitano i runner. Ma con tutti i posti favolosi di Roma, perchè questi si sono messi a fare il tifo in tangenziale? Numeri uno. Incrocio lo sguardo afflitto di un benzinaio annoiato: la corsia servita dal suo distributore oggi è riservata ai runners, niente macchine. Non so perchè lui sia lì, la sua presenza è più misteriosa di quella dei canadesi. Forse nessuno glielo aveva detto.
Torniamo verso la città e riprendiamo il lungotevere. Siamo vicini al trentesimo km ma le gambe reggono e i tempi al km non si alzano. Today is the day, lo sento. A un certo punto entriamo in un lungo sottopasso buio, quei posti in cui se sei in crisi ti sembra di calare all'inferno e che non ne uscirai mai più. Io invece lo supero in scioltezza e riemergo nel sole da vincitore. Ecco l'Ara Pacis, siamo in centro. Le gambe si induriscono, ma la testa c'è ancora. Siamo attorno al 33esimo e si punta verso Piazza Navona, stracolma di gente. Inizio ad accorgermi che la mia concentrazione si sta progressivamente spostando dal contesto che mi circonda al semplice atto di correre, di mettere un piede davanti all'altro. E' il momento dell'introversione, preludio di tempi difficili. Mi tengo lucido, al 35esimo km c'è il secondo incontro con la Bionda. Anche qui la folla è abbondante e da lontano la vedo che si fa spazio per arrivare in prima fila, macchina fotografica in mano, come un paparazzo assediato dai colleghi sul tappeto rosso di Cannes.

Questa volta niente baci e anche il sorriso è più stentato. Quando apro la bocca per dirle "Non mi fermo, se no non riparto più", mi accorgo di due cose. Innanzitutto di quello che le ho appena detto e che fino ad allora non avevo ammesso nemmeno a me stesso. E poi di come l'ho detto: voce rotta, metà dalla fatica e metà dalla commozione. Davvero. In quel momento sono stato investito da tutto: dalla fatica e dall'emozione per quello che stavo facendo, dai brividi di paura di non farcela e da quelli, più forti, di orgoglio. Esistono i brividi di orgoglio? Ed esistono tanto forti da farti quasi piangere? Non lo so, ma ho avuto tanto l'impressione che fossero soprattutto quelli a percuotermi in quel momento.
E poi arriva.
Al 36°km, eccola. La Crisi.
Non quella di cui avevo fantasticato durante la preparazione. Quella vera, quella che ti inchioda a terra, che interrompe la comunicazione tra il cervello e i muscoli, spietata.
Che poi si manifesti lì, davanti a Palazzo Grazioli è un fatto. Un fatto su cui è facile ironizzare, lo ammetto. Io ve lo riporto, traetene voi le conclusioni.
Mi limito alla cronaca. La cronaca dice che da lì in avanti sarà sofferenza pura. Mi inchiodo. Cammino fino all'imbocco di via del Corso. Lì provo a ricominciare a correre, sfidando le limitate energie rimaste. La strada si stringe, o sono io che la vedo stringersi, chissà, tra due ali di folla che applaude e ti si riversa addosso, come in quelle tappe cruciali di montagna del Giro d'Italia. Io ho addosso la maglia rosa, so di cosa sto parlando. Li sento addosso, gli spettatori, con un misto di fastidio e piacere. A metà della via, infinita, mi inchiodo di nuovo. Cammino un po' poi ricomincio a correre. E' diventata una gara tra relitti umani: molti mi superano, poi dopo alcuni metri si arrendono anche loro alla stanchezza e sono io a superare loro. C'è gente a terra distrutta, con turisti che si improvvisano massaggiatori e li aiutano a piegare le gambe, per superare i crampi. Arrivo a Piazza del Popolo e la faccio tutta camminando, con la gente che mi urla che è quasi fatta, che è finita, che non devo mollare. IO sono quasi finito, vorrei rispondere. Ma sono TROPPO finito, per rispondere. Riprendo a correre e attraverso Piazza di Spagna. Ma potrebbe essere anche la circonvallazione di Città del Messico, per quanto mi riguarda. La mia visuale si è ridotta al minimo necessario per la sopravvivenza: mi guardo i piedi e li prego di tenere duro ancora un po'. Arranco verso la Fontana di Trevi, aiutato da una leggera discesa. Del passaggio alla Fontana non ricordo niente, giuro. Solo oppressione e fatica. Entrando in Piazza Venezia infilo il piede tra due sanpietrini, sto cadendo rovinosamente e mi aggrappo a un tipo accanto a me per non rovinare a terra. Lui non la prende benissimo, mi guarda torvo ma chissenfrega: sono salvo. Ormai è pura sopravvivenza.
Segue un lungo blackout. E vi garantisco che non sto romanzando. Il mio ricordo successivo inquadra il gonfiabile che indica l'ultimo chilometro. Non riesco a essere felice di vederlo. Semplicemente registro l'informazione. Anche perchè lì dietro si nasconde il Mostro. Ve ne parlavo qualche paragrafo più in su. Il Mostro è un'interminabile curva parabolica in salita che gira attorno al Colosseo messa lì, da qualche crudele architetto urbanista, nell'ultimo chilometro della Maratona. Mi fermo di nuovo, cammino, esausto. Mi sembra infinita. Ma tutto ha una fine nella vita, grazie a Dio. Dietro al Mostro si nasconde la cosa più bella del mondo. Una morbida, amichevole discesa che porta verso l'arrivo. Ricomincio a correre, spinto non certo dalle mie forze ma da qualcos'altro che non ha nome. C'è il cartello dei 42. Ma ci sono da fare anche gli ultimi 195 metri. Sono più lunghi dei 580 e passa chilometri che ho corso per prepararmi a questa gara.
Ma finiscono anche questi. E arrivo.
Passo il traguardo.
E' irreale, profondamente irreale.
Ce l'ho fatta.
Una signora mi sorride e mi mette la medaglia al collo. Vorrei abbracciarla e piangere, a lungo, sulla sua spalla. Mi trattengo, per fortuna.
Altri mi si avvicinano. Mi avvolgono in un telo termico per riscaldarmi, mi tolgono il chip dal pettorale, mi piazzano in braccio una sacca contenente gatorade, acqua e una mela.
E' bellissimo avere tutte queste persone che pensano al posto tuo e ti manovrano in un momento in cui tu riesci a malapena a ricordarti chi sei.
Riprendo conoscenza. Riprendo la mia sacca. Riprendo il telefonino. Chiamo la Bionda e ci incontriamo. Era lì, non lontano da me che con lo sguardo l'avevo cercata a lungo. Peccato che il mio sguardo, già da sei chilometri a questa parte, avesse perso la sua funzione, come la maggior parte delle altre parti del mio corpo.
Mi fotografa, la Bionda.
E quelle che seguono sono le immagini di uno che ce l'ha fatta.



Qui invece ci sono i video della mia gara, dal menu in alto a sinistra potete selezionare i punti del percorso e guardarmi passare:

lunedì 21 marzo 2011

Scene da una Maratona

Non so se scriverò un resoconto dettagliato della mia Maratona. Posso dire che, sotto un certo punto di vista, è un viaggio al centro di sé. Si deve essere pronti a condividerlo.

Ho però alcune istantanee dei due giorni romani che, a loro modo, raccontano qualcosa.




Cristiano e la Bionda il giorno del ritiro dei pettorali. Notare l'espressione vacua negli occhi di Cristiano. La stessa che sentivo di avere anch'io.




Le istruzioni su come ritirarsi. Il ritiro non è previsto prima del ventesimo chilometro.

Dal quindicesimo, ai ristori, è iniziata la distribuzione di frutta e biscotti.




La linea dell'arrivo la sera prima della partenza.
Sullo sfondo il Colosseo illuminato dalle ultime luci del giorno




La Maratona, per quanto lunga, rimane una corsa. Scarpe, maglietta e pantaloncini è tutto quello che serve per correrla.
Non visti, fuori campo, integratori, pomate, antidolorifici: Non servono a correre, ma solo a sopravvivere.




La zona antistante le gabbie di partenza. Tutti gli atleti, anche i Top Runners, dovevano entrare da questa parte. Nell'aria, odore di canfora, risate e anche un po' di tensione




Cristiano vicino all'ingresso dei Musei Capitolini, dove avevamo appuntamento alle otto in punto.



Ed eccoci nelle rispettive tenute da Maratona, frutto di lunghissimi pensamenti e svariate ipotesi, basate sulle possibili condizioni climatiche. Come detto: Pantaloncini, Maglietta, e Scarpe.














L'ultimo chilometro.

L'avrei rivisto sei ore dopo aver scattato questa foto.




Courtesy of La Bionda

Al dodicesimo chilometro incontro la Bionda. Dotata di macchina fotografica e con talmente poco da fare che mentre mi scatta la foto è pure contenta.

Grazie a lei, tutto ciò che c'è stato tra la partenza e il traguardo ha almeno una testimonianza.






Il documento fotografico successivo è dopo l'arrivo.




E ritrae un Finisher

domenica 20 marzo 2011