sabato 21 luglio 2012

The first time of Valerio

I promised Cristiano to write a post this week. By the end of the week, I said. Well, that's it. We got it. The end of the week.

The first of you who read this post in Europe will think it's not the end of the week. It's still Saturday. Well, it is. It's Sunday in Singapore. The end of the week. We're in the future, peeps.

Surprise surprise, I'm in Singapore. And I'll stay here for some other months. If you can speak Italian, I hope you already knew about my moving. I wrote it in the story of the Barabapà rosa.

Second surprise: I'm writing in English. Today I told a friend about Piovono Runners. And I realized that my last post in English was exactly a year ago, after the killings in Utoya.

So, I told my friend about Chiara and her first uplifting post. Her first run. How I was happy for her. How I was happy for me, to have had a small role in this big moment of her life.

The first run.

I remember the first run. Sadly not the very first run. I remember some of the first runs. Probably not so intense as Chiara's one (seriously, you should learn Italian just to read about her very first run).


I mean the first run after six months I couldn't run and walk. The first run after a break up. The first run in Milan. The first run in London.

What's so special about those first runs? I tell you what's so special. You pierce a veil, you move forward.

I remember the first run in Singapore.

It was three days after I landed. Three days, I thought, just to get used to the climate. This is what I tweeted after that run:

Well, third surprise, I got used to the climate. I run at least twice a week. Not as often as I'd like. But that's life, you cannot always do what you want.
I'd like to run with my friends around Parco Sempione in Milan, at 6.30 in the morning.
I'd like to run with Podisti da Marte and the visitors of Milan, with "Run in Milan".
I'd like to run with Chiara, at her pace, and see her running bud sprouting gentlly.

Those will come after another first run. I'm in Singapore now, and I get the joy to run with Angus and Hilda. With Alessandra and Julia. With Giorgio and Fabian. With Soonpeel, though for a short time.

Two months ago I had my first run in Singapore. And there's only one thing I enjoy more than that: my next run in Singapore.


giovedì 19 luglio 2012

Il primo giorno di Chiara

La settimana scorsa mi arrivò un bellissimo messaggio. Chiara, un'amica di Milano che MAI avrei pensato potesse MAI interessarsi alla corsa mi chiedeva come iniziare a correre. Le inviai la tabella di Runner's World e le diedi qualche consiglio base. Ieri è successo. Oggi piovono runners.

Il primo giorno

(Se penso a me che corro non mi viene in mente quasi nulla)

È il primo giorno. Non l’avevo preventivato davvero. Un paio di sveglie puntate alle 6 e mancate clamorosamente, questo sì.
Oggi però, non era preventivato.
Ho fatto un incubo incredibile. Incredibile. Sono le 5.15. Penso che non mi riaddormenterò più (mai più)  ma DEVO – devo – riaddormentarmi. Niente. Alle 6 non è successo, non mi sono riaddormentata. Occhi sbarrati.
Alle 6.15 si parte.
Il primo pensiero dopo essermi vestita è: se Valerio mi vedesse equipaggiata così mi toglierebbe il saluto. E va bene, non ci vediamo mai - ora è a Singapore per un master - direte voi, ma insomma.
Potrebbe negare di conoscermi se qualcuno gli chiedesse di me. Potrebbe, onta inaccettabile, persino togliermi dagli amici di facebook.
Va bene: Valerio, il mio mentore, quello che mi ha passato una magica tabella d’allenamento adatta a una donna di 60 anni in sovrappeso (e dunque perfetta per il mio stato letargico) non c’è, non mi vedrà. E dunque posso uscire con pantaloncini di jeans, scarpe da ginnastica puma ma non da corsa, troppo basse, canotta di cotone. Sul reggiseno dirò solo una cosa: sbagliato. Sui capelli dirò: per fortuna sono corti. Sul calzino: non dirò nulla, perché ho ancora del pudore e dell’amor proprio.
Luogo: Milano Est, per la precisione Crescenzago.
Inizio a correre.
La prima sensazione è: quanto sonno ho
La seconda: stasera sarò morta
La terza: stramazzerò al suolo tra 10 metri, maledizione, e non mi raccatterà nessuno perché sono l’unica stronza che non riesce a dormire in tutto il quartiere.
La quarta: in ogni caso, 20 minuti non ce la faccio.
La quinta: sono dimagrita.

Poi è solo verde, cielo, e pensieri, direte voi.

E invece no, è aria fresca del mattino, questo sì, ma anche asfalto, vecchi sparuti che aspettano l’autobus (che al mio ritorno non sarà ancora passato), silenzio e fatica.
Che poi, dove vanno i vecchi alle sei del mattino, mi chiedo.
Vorrei correre fino a piazza Udine, due fermate di metro, e tornare indietro. Sembra fattibile, ma l’allenamento è di soli 20 minuti (io alla fine ne farò 24, alla faccia della cicciona).
Due minuti corro, uno cammino, due corro, uno cammino.
All’inizio davvero sembra che non ce la farò, anche se è un allenamento da femminucce. Quella grassona di 60 anni che ha la mia stessa tabella e da qualche parte oggi sta correndo anche lei, è migliore di me.
Io, che tra i lavori che faccio (o non faccio) nella vita insegno anche a respirare alla gente, non respiro.
Ho sonno, chi ha detto che l’aria in faccia sveglia ha detto una bugia.
Un camioncino rifornisce di brioches un bar. Vorrei prenderne una per Gabriella, per quando si sveglierà, ma la barista mi guarda semi spaventata e richiude la porta del locale.
Non devo rallentare, il minutaggio è precisissimo.
Se perdo il minutaggio, sono fottuta, non so che fare. Potrei chiamare Valerio a Singapore e chiedergli cosa devo fare. Scarto l’ipotesi. Ho bisogno che Valerio continui a salutarmi (e a essere il mio mentore sportivo). Non lo chiamo.
Mi viene il panico che arriverò a un certo punto e non riuscirò a tornare indietro.

Poi, piano piano, it gets better.
Va meglio. Non servono molti pensieri più di questi per riempire 10 minuti. E a 10, quasi all’Istituto Maxwell, c’è da tornare indietro e a pensare all’ipotesi che invece, forse ce la farò (e sì, senza camminare, senza metropolitana, senza stramazzare, sono troppo stanca per elaborare paure più sofisticate).
Torno. I vecchi sempre alla fermata, l’aria meno fresca, il sole un po’ più caldo, l’asfalto sempre lo stesso, però respiro.
Non sono nemmeno le 7. Poco più di tre chilometri.
Il mio obiettivo lungo: correre e arrivare fino al Parco Lambro, quando riuscirò. Girarlo tutto e tornare indietro. E vedere come mi sento. Ma non ho fretta.

Se penso a me che corro penso ai vecchi che mi guardano e cercano di capire se catalogarmi tra i pazzi o tra gli sportivi.
Se penso a me che corro penso alla cicciona 60enne che per stavolta non mi ha fregato.
Se penso a me che corro penso a venerdì e quando ripartirò, con una micro difficoltà in più e, magari, almeno le scarpe giuste.
Se penso a me che corro, ricomincio a respirare.