25 dicembre, ore 21.Nell'ora più sedentaria e satolla del giorno più sedentario e satollo dell'anno esco di casa, ammantato di nero e strisce fluo per cercare un miraggio: l'esterno, la solitudine, il movimento.
Reduce da un pranzo di due ore, un sonno profondissimo di tre e un'eliminazione epurativa delle scorie di pacchi e piatti, regali e bicchieri che sbucavano da ogni angolo della casa.
Avvertivo forte il bisogno di cambiare punto di vista. Di sentirmi altrove.
La corsa ha realizzato il mio desiderio. Mi ha ovattato dal Natale, mi ha portato a fendere strade sornione e stanche, mi ha regalato la compagnia di pensieri solitari e bisbiglianti che altrove non sarei riuscito a sentire.
Non c'era nessuno in giro. Ma nessuno davvero. Nessuno al punto che credo di non aver visto nemmeno un proprietario di cane con animale al seguito.
Forse a Natale i cani pisciano sull'abete, in casa, mentre i padroni si avventano con la determinazione intorpidita degli zombi sugli avanzi del pranzo.
Ho corso i 14 km più stralunati, sovversivi e splendidamente tristi dell'anno.
Mi sono fermato una volta sola, sul primo dei ponticelli pedonali del Naviglio Grande, perchè quell'attimo imponeva di essere guardato da fermo e fotografato negli occhi per sempre. Non un anima viva, nè davanti nè dietro di me, nè su una sponda nè sull'altra.
Ho respirato, ho soffiato fuori un pensiero e sono ripartito.