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sabato 22 gennaio 2011
Libera-mente
Siccome domani Cristiano passerà alle ore sette e un quarto, per evitare casini, ho già tirato fuori tutto. Così mi risparmio furiose, frenetiche, quanto inutili ricerche con lui al telefono che mi dice di essere "qua sotto".
Oggi mi sono preso il gusto di paccare la collega di Studio: "sai, domani ho una Mezza, devo mantenermi". Cosa debba mantenere lo sa solo il cielo. Spero almeno la dignità.
E a proposito di Studio, oggi dovevo andarci. Poi ci ho riflettuto per bene e ho dormito fino a pochi minuti fa. L'unica pecca è che il GPS è rimasto lì, in carica. Ma tanto già la prima volta ne avevo fatto a meno e quindi non me ne frega più di tanto. Alla fine il tempo lo scopri lo stesso, e ti fai meno paranoie durante. Anche se il bip bip di ogni chilometro che passa è una sorta di mantra rassicurante, la controprova che effettivamente, fisicamente, stai macinando terreno.
Devo sbilanciarmi.
Per forza, se Lui si sbilancia devo farlo anche io.
E allora pronostico un'ora e cinquanta. Quindici minuti in più dell'amico Cristiano, e crepi l'avarizia! Non tanto per il fiato o per i muscoli, ma per le ginocchia. Incrociamo le dita, facciamo gli scongiuri e tocchiamoci tutto quanto.
Forse sono ancora in tempo per andare a prendere il GPS, devo rifletterci. Già mi infastidisce, con pregustazione del momento, il fatto che sarei l'unico a non averlo perché lo ha dimenticato in un posto lontano da casa. E dove lo aveva portato apposta per scaricarne i dati, ma senza poi averlo fatto. Assurdo. Non posso sopportarlo.
Per intanto ho aperto i rubinetti della vasca da bagno. Un'oretta di ammollo è proprio quello di cui sento il bisogno.
Poi deciderò
p.s. ho anche gufato nel pronostico...dai Cri è solo un allenamento, la gara vera è a Roma!!!
il Pronostico
venerdì 21 gennaio 2011
Sticazzi !
Terzo post di Nizza, il neo podista più amato di Piovono Runners
Nel mio ultimo post, vi ho raccontato come lei mi avesse fatto capire, in un modo molto sottile, che non era caso che io corressi il lunedì, e che martedì e giovedì fossero decisamente la scelta ottimale. E così è stato.
Martedì è stata una sessione ridotta di 4 minuti causa cena la sera, ed è andata così così. Mi sono trovato con delle gambe di marmo, soprattutto i polpacci, e le caviglie che mi facevano capire di non essere proprio d’accordo con la mia volontà di correre. Questo all’inizio, migliorando pian pianino verso il finire, ma ci sta perchè praticamente non correvo da quando facevo ginnastica alle media. E mentre correvo e ad ogni appoggio sentivo come se si stessero incassando le caviglie, mi sono ricordato che sabato scorso, dopo la mia prima performance, ebbro e galvanizzato dal fatto che non fossi sdraiato a terra con la faccia sul tapis-roulan e la lingua infilata dove il rullo rientra per tornare in dietro, non ho fatto nessun tipo di stretching, ne pre ma sopratutto ne post corsa.
Mio fratello, per chi non lo conoscesse ha 8 anni più di me, ed è sempre stato il saputello e l’atleta tra noi due. Chi mi conosce sa che alle volte sono un po’ un precisino van Nistelrooy, non chiedete però a Federica perché lei calcherebbe decisamente la mano, beh Andrea è notevolmente over rispetto a me. Dicevo che lui è sempre stato l’atleta, anche perché in effetti lui ha fatto atletica, non mi ricordo se i 100m o i 200m, e quindi l’ho sempre guardato con una certa ammirazione fino a stamattina.
Alla fine siamo rimasti che andremo per le 11, voi giustamente direte “ah beh un’ora dopo chissà che afa che troverete”, si avete ragione, ma confido nel tempo, poco nuvolo, che il meteo mi sta indicando, e quindi nell’arrivare ad almeno 3 gradi. E poi se non fa un po’ di freddo cosa ho comprato a fare la tenuta invernale? Non vi svelo nulla perché prima di denigrarla per quanto non sia proprio bella, voglio provarla sul campo, quindi vi rimando la descrizione della mia mise al prossimo post.
Ciao a tutti.
Abracalabria
giovedì 20 gennaio 2011
Per aspera ad astra
Era questo il nome del gioco. Me lo ricordo come se fosse ora. Parafrasando una frase entrata nella storia delle mie cazzate: "Ho ricordi vividissimi di questo gioco". Come di Persia a Formentera. Un anno prima che ci conoscessimo.
Ma il punto, in questo caso, è un altro. Il punto è che sto soffrendo, ma attraverso il dolore (le difficoltà, letteralmente) si può arrivare in alto, molto in alto. Fino alle stelle, dicevano i Latini. Noi, abbietti cittadini del nuovo millennio, abbiamo ribaltato il concetto e diciamo che dalle stelle si può cadere molto in basso, fino alle stalle.
Alle volte mi chiedo se questo secondo proverbio non sia una presa per il culo della Natività, ma dicembre oramai è lontano e quindi non procederò oltre. Ho già dato col Gesù bambino orfano di padre nel mio presepe (l'ho perso...). Per questa volta la blasfemia è evitata.
Torniamo al giochino elettronico.
Veniva via insieme al primo windows che sia mai stato prodotto, il quale, a sua volta, era in dotazione ai personal computer quando ancora venivano indicati con la dizione "IBM Compatibili". Il mio era un Olivetti i286.
Scopo del gioco era diventare l'armatore più potente del mondo, e all'inizio ti chiedeva di scegliere un motto per la tua compagnia. Non so spiegarmi come, ma le mie flotte battevano sempre bandiera Inglese ed il motto era proprio quello: "Per Aspera ad Astra". Porto preferito, Karachi, perché si potevano comprare le armi di contrabbando.
Il motivo? Come rilevato da qualcuno, sono pigro ed indolente, ed almeno nella finzione volevo che il mio Avatar fosse uno di quei personaggi tutto palle ed azione. Un po' come si dice di quegli uomini che, maschi Alfa e dominanti nella vita, cercano esperienze di umiliazione nei rapporti intimi con le donne. Alla moda di Mosley, per intenderci. Insomma, si cerca nel gioco, nella finzione, ciò che non si è o non si ha nella vita.
Questo accadeva quando avevo dodici anni.
Forse, semplicemente, cerco adesso significati che non erano.
Quale che sia la risposta all'arcano mistero, il fatto è che ho un ginocchio gonfio e dolente. Non troppo gonfio, e moderatamente dolente. Il che mi fa sperare bene per domenica. Nel senso che spero di riuscire ad arrivare in fondo. La partecipazione non l'ho mai messa in dubbio, nemmeno per un istante. E se riesco a superare i primi chilometri, di riscaldamento, sono convinto di riuscire a continuare a correre fino all'arrivo.
La stranezza vera è che lunedì e martedì, dopo aver corso diciassette chilometri venerdì e snòbbordato tutta la domenica, le mie ginocchia, in fin dei conti, stavano benone.
Invece oggi, dopo aver fatto ieri mattina una misera corsetta di soli dieci chilometri, a ritmo blando, il ginocchio sinistro fa male anche a camminare. Stasera bis di Tachipirina.
E finalmente parliamo di corsa.
Nuovamente paccato dalla collega di Studio, sono uscito di casa, più o meno, verso le sette della mattina. Era qualche tempo che non correvo prima di andare a lavorare.
Mi sarebbe piaciuto uscire alle sette meno venti, per avere più tempo, al rientro, da passare sotto la doccia bollente. Ma la sera non mi ero preparato l'attrezzatura e, dunque, non trovavo nulla.
Soprattutto non ho trovato gli scaldamuscoli sottili che metto sempre in questo periodo. Non ho trovato la maglietta tecnica a maniche lunghe. Quella che metto sopra la maglietta tecnica intima. Non ho trovato la maglietta tecnica a maniche lunghe intima. Non trovavo nemmeno i pantaloncini.
Di necessità virtù, si dice.
Ed allora ho recuperato un paio di pantaloncini di cotone leggero. Li usavo al liceo, quando ancora credevo che essere alti non fosse prerequisito per giocare a pallavolo.
Dopodiché, ho rinvenuto una magliettina a maniche corte. Tecnicissima, per carità, ma pur sempre a maniche corte.
Ed infine, per completare in bellezza la tenuta, ho infilato una maglietta in cotone a maniche lunghe. Della casa editrice Salani. Pubblicizzava un libro di Ammaniti: "Io non paura".
Ispirato da Ammaniti ho affrontato con ardore la porta di casa e sono uscito. C'è mancato poco che rientrassi immediatamente. Il muro di freddo che ho incontrato era veramente impressionante. Ciononostante, mi sono autoipnotizzato, convincendomi che correndo il freddo sarebbe scomparso.
Siccome sono facilmente suggestionabile, ha funzionato. Per i primi dieci minuti. Ma oramai era troppo tardi per rimediare all'errore e sono andato avanti a correre.
Inizialmente, era mia intenzione dirigermi verso il Parco Sempione, fare un paio di giri intorno al Castello Sforzesco e poi rientrare all'ovile. Non avevo tenuto conto che dove ci sono gli alberi fa più freddo. Ero ancora a più di 400 metri dal parco e già mi arrivava il suo gelido fiato. L'invisibile muro di ghiaccio mi ha guidato, quasi fosse un campo di forza insuperabile, verso via Melzi D'Eril. Poi mi ha sospinto all'interno verso via Vincenzo Monti ed, infine, verso via Dante.
A questo punto, l'orgoglio ha avuto il sopravvento e ho deciso di andare al Castello Sforzesco. Dritto verso il campo di forza.
Che bellezza!
C'era una leggera foschia che ne nascondeva la base e lo circondava completamente. Il portone di ingresso era aperto e dietro si intravedeva la piazza centrale. La città intorno era completamente nascosta. Ed il Castello, anziché sembrare il solito rudere ridicolo, si ergeva imponente. Mi ha attirato dentro di sè come un mostro marino. L'ho attraversato da parte a parte e sono sbucato là dove volevo sin dall'inizio. Nel Parco.
Qua ho incrociato un sacco di tizi strani. Erano tutti vestiti uguali. E mi guardavano come fossi stupido. La mise degli antipaticissimi era la seguente.
Scarpe da running. Tuta nera aderente e coprente. Guantini neri. Quasi tutti correvano. Uno aveva un cane. Non c'è che dire, complimenti. Vestirsi così per pisciare il cane merita un encomio.
Sulla via del rientro ho iniziato a sentire davvero freddo. Polpacci rigidissimi, quadricipiti ghiacciati, ginocchia insensibili, sguardo spento e viso di cemento. Meno male che prima del congelamento sono riuscito ad infilare l'uscio di casa
Sarà per via del freddo, non lo so, può essere che abbia impedito alle articolazioni di scaldarsi a dovere. Fatto sta che cammino male e devo prendere antinfiammatori e antidolorifici. Ma, come dicono gli Inglesi. No Pain, No Gain.
E su questa, credo sia proprio il caso di calare il sipario.
p.s. alla fine Valerio, runner-blogger indipendente, verrà con noi alla Mezza di SanGaudenzio.
Fratello sole, sorella nebbia
Libere associazioni di un anonimo fan
Ci sono sere in cui mi addormento meditando sulle loro gesta. E mattine in cui mi sveglio con il pensiero fisso di scoprire quali prodezze hanno compiuto il giorno prima. Poi ci sono giorni in cui apro la finestra e, superato il principio di congelamento, me li vedo mentre corrono tra la nebbia, tenaci, pronti a sopportare qualsiasi temperatura, distanza e ostacolo, pur di raggiungere quell’obiettivo che Lei, austera e irremovibile, ha posto loro.
Cristiano mi fa un po’ il tenente Aldo Raine di Bastardi senza gloria. Pronto ad affrontare le sfide che la Tabella gli impone,ha messo insieme una squadra di soldati, che lo aiutino a combattere questa sua personale battaglia contro il tempo.
Carletto mi fa pensare a Jeffrey Lebowski, meglio noto con il nome di Drugo. Pigro e pacione si è ritrovato invischiato, suo malgrado, in una situazione più grande di lui e ora proprio non riesce a uscirne, perché quasi c’ha preso gusto.
mercoledì 19 gennaio 2011
Conquista 24 territori con almeno 2 armate
martedì 18 gennaio 2011
Appunti di viaggio
Lui e la genitrice si sono dileguati questa mattina, tra una spremuta di arance e la fragranza di brioche.
IL MONITO VA RISPETTATO
So che stavate aspettando in trepidante attesa il post del più scassato runner/writer del trio ed eccomi qui.
Il vostro amico wrunter che si sta cimentando in un’avventura a lui totalmente sconosciuta.
Volevo subito ringraziare i due cofondatori di “piovonorunners” per la fantastica idea, che oltre ad essere una scusa per scrivere divertendosi, serve anche, nel mio caso, come sprone per portare avanti il raggiungimento di un obbiettivo che ha accennato Cristiano, ma che per scaramanzia non mi sento ancora pronto a dichiarare pubblicamente.
Ieri lunedì 17 avrei dovuto allenarmi, ubbidire a tutto quello che lei aveva deciso per me, ma il fausto numero diciassette ha colpito. Premetto che mi considero una persona evoluta per nulla legata alle credenze popolari, alle superstizioni e agli oroscopi, fatta eccezione per quella secondo cui chi non legge Nizza non gli si drizza, ma da ieri le mie certezze vacillano.
Ieri era lunedì 17, nemmeno venerdì, e quindi non ho letto in internet i soliti articoli che fanno il paio con quelli che escono per i regali-cenoni di natale o quelli più estivi che ci dicono come prendere la tintarella e fare la valigia, di conseguenza la mia giornata scorreva liscia e serena. Mi gustavo con una certa emozione la messa in rete del mio primo post, e galvanizzato dal vedere dei miei pensieri letti da amici e non, mi caricavo assaporando quando, rientrato in casa, mi sarei rimesso sul mio fido tapis-roulant per una nuova sessione di corsetta. Dico corsetta perché non ho ancora la presunzione di chiamarla corsa.
Mi stampo la scheda di lei da runners world e mi metto in pausa pranzo a leggere tutti i punti di cornice che per la foga di iniziare non avevo letto. Ci sono diversi consigli, alcuni per me ancora prematuri e altri invece basilari. Leggo in un riquadro in alto a destra che i giorni consigliati per allenarsi sarebbero martedì, giovedì e domenica, ma che in fin dei conti anche gli altri vanno bene. Ciò nonostante la puntualizzazione di quei tre giorni in particolare mi colpisce, perché indicarli se poi vanno bene tutti? Mi è sembrato come un consiglio molto diretto, ma visto che la maggiorparte dei consigli per i principianti come me, avevano un tono rassicurante, non ci ho dato più di tanto peso.
I minuti passano, e il momento si avvicina. Sono molto determinato a non trovare subito una scusa per saltare il secondo giorno e di conseguenza entrare in quel circolo vizioso del “ma si dai mi alleno domani” da cui poi è impossibile uscirne.
I minuti passano e driiiiiin, il cellulare, è la signora che fa le pulizie a casa mia. Rispondo e sento subito un tono preoccupato al telefono. Lei è ucraina e praticamente non parla italiano quindi è sempre un po’ complicato comunicare. Dopo i primi minuti in cui la non comunicabilità non aiuta a tranquillizzarmi, visto che le uniche parole che riesco a decifrare sono chiavi di casa, riesco ad arrivare alla soluzione dell’arcano. Si è chiusa fuori di casa con le chiavi nella serratura.
Essendo una signora estramente gentile inizia subito a scusarsi, ma la tranquillizzo sul fatto che non è successo nulla, che la porta, nonostante abbia le chiavi inserite nella porta, sicuramente saremo riusciti ad aprirla, ma che doveva darmi il tempo di tornare a casa. Esco quindi dieci minuti prima e mi dirigo alla macchina. Fuori non si vede nulla, c’è un nebbione pazzesco, non si vedono le persone che mi precedono, non si vedono i cartelli, non si vede il parco che è davanti all’uscita dal mio ufficio, e nemmeno si vedono le macchine parcheggiate, sopratutto non si vede la MIA macchina parcheggiata. Ma non che c’è un parcheggio vuoto dove l’avevo lasciata, c’è proprio un'altra macchina.
Ho spesso sentito dire da amici o conoscenti che corrono da tanto tempo, che la corsa crea dipendenza e oltre a far stare bene fisicamente fa star pene psicologicamente, mi pare sia tuttoa colpa dell’endorfina, e sarà per questo che nonostante non trovi la macchina, non mi sta assalendo l’incazzatura. Però io ho corso solo una volta quindi non posso già beneficiarne, ed in effetti la sento che sta montando piano piano.
Vi tralascio la seconda telefonata con la signora delle pulizie, in cui cercavo di capire se lei anche se chiusasi fuori, avrebbe potuto tornarsene a casa sua, e che alla domanda “ma le chiavi di casa sua sono a casa mia?” (mi sono reso conto dopo di aver chiesto troppo forse) ho ricevuto solo un lungo silenzio.
Dopo aver chiamato Federica, la mia fidanzata, per farmi recuperare il numero dei vigili e chiederle se poteva correre lei a casa ad aiutare la signora delle pulizie, scopro che era stata rimossa perché vicino a una fermata degli autobus. Non entro nei dettagli della sanzione perché scadrei pesantemente nel volgare.
Mentre in taxi andavo a riprendermi la macchina, riecheggiava nella mia mente il monito di runners world “i giorni migliori sono martedì, giovedì e domenica” e capii che se avevano indicato quei giorni un motivo c’era e che sarebbe stato meglio non disobbidire.
Ecco perché ho deciso, in totale autonomia e di mia spontanea volontà, che ieri non sarebbe stato un ottimo giorno al contrario di martedì e poi giovedì e poi domenica…
Guardare sempre avanti
lunedì 17 gennaio 2011
Friday Night Live
L'incontro ravvicinato del ratto tipo è stato uno dei pochi, venerdì sera. Un venerdì sera insolito, che è scorso via veloce, insieme ai chilometri che uno dopo l'altro si perdevano alle mie spalle, nella nebbia.
Dopo la colossale sbronza di giovedì, ero rimasto indietro con gli allenamenti. Quella sera avrei dovuto correre una dozzina di chilometri. Intervenuta la maratona alcoolica mi ero ripromesso che li avrei corsi venerdì mattina. Sappiamo come è andata a finire.
Anche questa volta cerco di convincere la collega di Studio a farsi una bella sgambata, ma complice il freddo, l'orario assurdo e un marito da accudire, una volta arrivata a casa mi scrive un sms: "Passo".
Sono tonto ma intuisco che non verrà a correre.
Ciononostante, per fugare ogni dubbio (mi conosce), scrive ancora: "Passo, ma nel senso che non vengo". Paranoie sull'ambiguità e sull'equivocabilità dei termini. Benvenuti nel modo dell'avvocatura.
Nel frattempo ho elaborato più o meno la distanza da coprire. In teoria, giovedì sera avrebbero dovuto essere circa 11 chilometri e poi sabato un po' più di 15. Sputtanata completamente la tabella e consapevole del fatto che sabato e domenica non avrei corso un tubo, ho deciso che sarei uscito e avrei percorso almeno tredici chilometri.
Non so dove andare e lascio che siano le gambe scegliere. Tre minuti dopo, mi ritrovo a correre lungo la circonvallazione esterna. Bella scelta.
Riprendo a stento il controllo e vado verso lo stadio di San Siro. Questa volta non c'è nessuna partita, lo stadio è buio e la strada completamente vuota. Addirittura, interi tratti del vialone alberato che da piazzale Brescia arriva sino al Parco di Trenno sono chiusi al traffico.
Mi piazzo al centro della strada e faccio finta di correre in mezzo ad ali di folla vaneggiante. Praticamente sono già a Roma, mancano ancora due o tre chilometri all'arrivo e tutti mi ammirano. L'apoteosi!
Non fosse per il freddo e il fatto che sto correndo (peraltro da soli 5 minuti), ci stava un bel risveglio tutto sudato.
Avanti veloce e arriviamo al nono chilometro circa. Sono già tornato da in fondo al Parco di Trenno, ho resistito alla tentazione di infilarmi ridendo sguaiatamente tra le sue nebbie (giuro, fortissima), e le strade sono di nuovo quelle, per me solite, della zona Fiera vecchia. Nel frattempo, ho elaborato il diabolico proposito di correre per almeno 15 chilometri.
Il topolino di prima l'ho incrociato proprio in questo momento.
Mi distrae quel tanto che basta da farmi prendere una direzione e mi ritrovo a correre verso il Velodromo. Iniziano a farmi male le ginocchia, ma so che, finché non smetto di far andare le gambe, continueranno a flettersi e distendersi. Il trucco è non fermarsi, non raffreddarsi.
Passo in mezzo a una foresta di casette verdi prefabbricate; è sorta all'improvviso tra il Velodromo e la Fiera vecchia. A metà dicembre, quando ero passato da quelle parti per andare agli scritti dell'esame di abilitazione, non c'era. Probabilmente ospiterà chi dovrà costruire il nuovo quartiere, City Life, quando il cantiere opererà a pieno regime.
I chilometri, intanto, sono diventati 12. Sto soffrendo come un cane, ma non voglio tornare a casa.
Mi concentro sui volti delle persone che incrocio. La donna di mezza età che aspetta il tram, i ragazzini davanti a un portone, uno spazzino. Gente di ogni genere, chi lavora, chi va a riposare, chi a divertirsi.
Dopo un po' mi ritrovo dalle parti della piscina Solari. I chilometri sono ora quasi quindici e penso a un percorso per rientrare alla base. Scendo lungo via Solari e arrivo all'inizio di via Washington. Da lì, è tutto un lungo e trionfale rettifilo fino a casa.
Sono uscito alle nove e trenta, il rientro è avvenuto alle ore undici e dieci. I chilometri, alla fine, sono diventati 17. Non male per un vecchio ubriacone.
Sabato non ho camminato per il dolore alle ginocchia. Domenica ero qua:
In mezzo ci sono stati un taglio radicale di capelli, una splendida visita al museo del novecento ed una gara di cucina persa al fotofinish con colui che per me rimarrà culinariamente l'uomo delle polpette più buone del mondo.
Domenica prossima si corre la prima mezza maratona assieme, con il buon vecchio Cri. Ed anche con Valerio, molto probabilmente. Perlomeno i primi dieci metri, perché nel tempo che io impiego a fare un chilometro lui ne ha quasi percorsi due.
Finirà che correranno insieme lui e il buon caro Girella, per poi aspettarmi sorseggiando The caldo all'arrivo. Mi sa che la macchina la metto io e mi tengo strette le chiavi.
Così, per sicurezza.
Finger Food & Running Mood (con immagini)
(ovvero come ho accumulato e disperso calorie nel weekend appena trascorso)
Sabato: sveglia alle 9.30 e giornata interamente santificata al rito della gara di cucina. Lo ammetto, sento la pressione di questo appuntamento che torna dopo anni e temo i miei avversari: abbiamo un paio di rinomati animali da fornello (Ciccio e Carlo), un raffinato gourmet e bravo cuoco a cui mi mi sarebbe piaciuto tanto dare una sverniciata (Coppola, ti voglio tanto bene), due che fino a qualche anno fa si cibavano di muschi e licheni ma che adesso si sono evoluti (Galli e Persia) e una incognita totale, una di quelle sorprese temibili tipo Danimarca e Grecia all'Europeo, per capirci: tecnica semplice, mentalità proletaria e dritti al'obiettivo (Bindo). Poi c'erano i miei due avversari più diretti, quelli che avrei sfidato sul terreno della mia categoria (antipasti): una donna baffuta (Franco) e un uomo il cui ideale di haute cuisine è Bear Grylls (Nizza).
Capite bene che non posso perdere, pena l'onore, il pubblico ludibrio e la sodomizzazione con lo strudel finale di Fantoni.
Affronto con sprezzo del pericolo una situazione in cui, personalmente, non ho mai visto cimentarsi nemmeno il suddetto Bear Grylls: fare la spesa al supermercato il sabato mattina.
Non è finita, parte ora la caccia ai bicchierini dentro i quali presentare i miei piatti. Finger food oblige. Spendo una discreta fortuna in un emporio di casalinghi che appartiene a quella misteriosa categoria di negozi vecchio stile che in 30 mq hanno tutto e nei quali l'unico antidoto al caos totale degli scaffali è la flemma monacale del proprietario, sensitivo nel capire cosa desideri e rabdomantico nell'infilare la mano tra cento oggetti accatastati alla rinfusa per trovare ciò che nel profondo tu volevi,ma nemmeno sapevi di desiderare.
Nel pomeriggio non succede niente di interessante. Ha giocato il Toro, ma non mi ricordo come sia finita. Alle 19 i primi chef si presentano a casa Soncini. Io arrivo armato di un trolley rigido Samsonite a combinazione segreta, contenente attrezzi e ingredienti per le mie ricette. Mai fidarsi del tutto di Casa Soncini: potresti trovarci quattro coltelli in ceramica ottimizzati per affettare i legumi, tre schiumarole per il goulasch e nessuna padella. Meglio essere preparati. Tempo mezzora e la cucina di Carlo si trasforma in un campo di battaglia. Gordon Ramsey sarebbe scappato frignando dopo sette minuti di fronte alla sfida di reggere il clima nervoso di quel luogo e Tunisi sembra ancora una volta un'oasi di felicità agli occhi di chi si ritrova lì.Se non partono coltellate tra di noi e solo per un antico sentimento di amicizia che ci lega, ma che è davvero l'unica cosa che fa sembrare inopportuna l'idea di un'omicidio, che per il resto parrebbe del tutto giustificato. Dal delirio creativo escono nove piatti nell'arco delle successive cinque ore.
Alla fine di questa faticosissima maratona (altro che correre...) escono vincitori il sottoscritto sugli antipasti, Bindo sui primi (e assoluto) e Coppola sui secondi (e miglior outfit).Come in ogni gara che si rispetti, però, bravi tutti: la vera sfida era sopravvivere ed arrivare in fondo, servendo qualcosa di personale e, possibilmente, commestibile. Ce l'abbiamo fatta.
Domenica: niente sveglia, bisogna arrivare freschi all'appuntamento con il lungo della settimana.Quando il corpo sarà pronto, si sveglierà e partiremo. Oggi abbiamo una compagna in più, a spezzare la routine: la bionda, quella del mio post di presentazione sulla pagina Chi Siamo, all'anagrafe Roberta, ha deciso di abbandonare il suo ducato orizzontale tra colline di cuscini e pianure di lenzuola (che di solito nel weekend presidia con morbida ostinazione) per accompagnami in bicicletta.Ci vestiamo e partiamo.
In Ticinese e sul Naviglio ritroviamo i nostri punti di riferimento: la nebbia, le bancarelle dei cingalesi, i coglioni che fanno il brunch nei tavolini all'aperto della California Bakery, con 2° di temperatura esterna, intabarrati come esploratori artici solo per mangiarsi il bagel più "cool" di Milano (scusate, li vedo e li disprezzo tutte le domeniche, avevo bisogno di denigrarli per una volta in pubblico).
La cosa bella del Naviglio, però, è che da Porta Genova in poi non c'è più nessuno, se non ciclisti e runner. Insomma, nonostante il clima ce la godiamo. Io per tutti e 21 i km, perchè avere una bella ragazza che ti pedala davanti ha un non so che di motivazionale (lo so benissimo, in realtà, e lo sappiamo tutti...).
Lei per 15-
Poi, a un certo punto, inaspettata cala sul suo volto (la immagino sul suo volto, io più che altro l'ho vista sulla sua nuca) la fase introspettiva. Si piazza lì, una quindicina di metri davanti a me, a ritmo costante, testa un po' bassa, pedalata meccanica. Non si gira più a farmi le linguacce, non canticchia più ad alta voce i ritornelli delle canzoni che sta ascoltando con l'Ipod, non fa più l'elastico, rallentando ogni tanto per aspettarmi. Ho capito che l'effetto entusiasmo è finito, che il freddo ha prevalso, che la fame ha eroso il piacere della gita, che il suo cervello sta pensando esclusivamente a cosa mangeremo appena tornati a casa. Dopo essermi avvicinato per comunicarle che mancavano solo quattro chilometri, ed avendo ricevuto in cambio un grugnito, capisco che è il caso di starmene lì tranquillo, a quindici metri da lei.
20; 2,3; 146; 137.
Posto con orgoglio il primo contributo al blog del neo collaboratore, ma soprattutto NEO RUNNER, Nizza. Nizza ha un obiettivo in comune con noi, che non sveleremo per ora. Ve lo dirà lui, se e quando vorrà... E leggiamoci questo Nizza, adesso.
La doccia, ma come è bella la doccia? Fantastica la doccia.
No non è un inno alla doccia, anche perché so già che mi sentirei rispondere -“ cos’è non l’hai mai fatta? Io la faccio tutte le mattine e non ci trovo nulla di così speciale”-, è semplicemente una constatazione di quanto sia defaticante la doccia. Si ho detto proprio defaticante, perché stamattina, ho fatto il mio primo allenamento. Tutti mi hanno detto di non iniziare così alla sperendio, quindi come consigliatomi, mi sono trovata una compagna di allenamento. Io e lei era la prima volta che uscivamo assieme e siamo stati molto timidi. Abbiamo deciso di comune accordo che come primo appuntamento sarebbe stato meglio di non strafare e non rischiare di rovinare subito il rapporto di fiducia che stavamo creando.
Lei l’ho conosciuta, come si conoscono oggi i gggiovani, su internet. L’ho vista e subito sono rimasto colpito dalla sua semplicità e dal suo pragmatismo. È stato come un colpo di fulmine, ma ho chiesto lo stesso un parere a Cristiano, che è molto più esperto di me di questo tipo di relazioni, e dopo il suo benestare ho deciso di accetare il suo invito ad uscire per vedere come sarebbe andata a finire. E quindi stamattina sono sgattaiolato fuori dal letto e sono andato al nostro rendez-vouz.
Ora, prima di continuare nei particolari succulenti, visto che io sono fidanzato, e ho tirato in mezzo Cristiano, anch’egli fidanzato, voglio subito precisare che LEI altro non essere che la tabella.
Carico ma al tempo stesso emozionato ed eccitato, con il cardio frequenzimetro del mio orologio suunto in perfetto stile ironman abbiamo iniziato a conoscerci. Per questa prima volta ho optato per un tapis roulant, sempre per il buon principio che non volevo fare il fenomeno e trovarmi distrutto e lontano da casa ed essere costretto a prendere un taxi per ripiegare. Non che pensavo che avrei fatto chissà quanta strada, ma sotto sotto un po’ ci speravo.
I miei timori erano due, il fiato e il ginocchio. Il fiato, si sa, si fa con l’allenamento, ma per uno come me, asmatico che si spippetta 10 sigaretta al giorno, e non sto contando i fine settimana, i presupposti non aiutavano. Per quanto riguarda il secondo timore, il ginocchio, quello non lo si può aiutare con l’allenamento, anzi si fa proprio il contrario. Alla fine parto, cammino un pochino per riscaldarmi e poi incomincio con i miei auricolari nuovi di zecca comprati sempre stamattina fatti apposta per amplificare i bassi ( lo so sono pò tamarro, ma ammetterete anche voi che sentire dei bei bassi dà sempre soddisfazione).
È andato tutto liscio, il fiato ha retto ma soprattutto il ginocchio, dopo qualche fitta iniziale che sembrava indicarmi che non era molto dell’idea di destarsi dal suo torporealla fine si è adattato e si è comportato egrecciamente
Ora sono qui sul divano, dicciato e soddisfatto dei numeri del titolo. Ebbene si hanno un significato, non sono pazzo.
20 minuti; 2,3 km; 146 media battito cardiato; 137 le kcal bruciate.
Lo so è un risultato non eccezionale, ma questa era la prima sfida che la tabella mi aveva lanciato e l’ho vinta. Fra un paio di giorni avrò la seconda e visto l’andamento della prima sono pronto ad affrontarla a viso aperto.
Nel mentre mi godo questo risultato.