C'era una volta, un mese fa, un runner sulle soglie dell'autocommiserazione, fiaccato da influenze e mollezze natalizie, che il 9 gennaio interrompeva al 24esimo km il suo allenamento da 28 e mestamente si arrendeva, chiedendo un passaggio al tram per essere riportato a casa dalla Darsena, dove si era arenato come una nutria malferma.
Mancavano ormai meno di due mesi alla Maratona di Treviso e le premesse erano le peggiori che si potessero immaginare. Lo spread tra quel runner reale che si allenava il 9 gennaio e quel runner ipotetico che avrebbe dovuto portare a casa dignitosamente i 42 km e 195 mt nella Marca era altissimo.
Merkel e Sarkozy se la ridevano di gusto.
Poi scattò qualcosa. La liberalizzazione dell'orgoglio, probabilmente. Il piano anti crisi muscolare, forse. Sta di fatto che quel runner arrancante nei tre weekend successivi ha infilato un 30, un 28 e un 32 non dico con scioltezza, ma con un crescendo incoraggiante di performance.
Domenica lo aspettava un allenamento mai tentato, i 35 km. Alla Maratona di Roma era andato con alle spalle al massimo un 32 e con tanto entusiasmo. Al 36esimo km si era inchiodato e aveva fatto gli ultimi sei con il passo euforico dell'elefante che si avvia a scegliersi il loculo in cui morire.
Urgeva quindi arrivare meglio preparati, stavolta. Spostare il limite in allenamento da 32 a 35 poteva significare dilazionare il momento di crisi dal 36 al 39 (il runner ha fatto il classico e questi teoremi sono il massimo di raffinatezza matematica a cui riesce ad arrivare). La crisi al 39esimo è già una roba mica male, perchè a quel punto sei praticamente arrivato e sia mai che l'odore del traguardo possa trascinarti fin lì nonostante il serbatoio vuoto.
Ovviamente domenica, il giorno dei 35, era stato segnalato da tutti, da Giuliacci come da Nostradamus, come il giorno più freddo del periodo più freddo dell'anno. Quindi non si poteva dire di non sapere a cosa si andava incontro. Ma c'è stato di più. Una sorpresa. Nevicava pure.
Benissimo.
Il runner si era comunque preparato con la sua consueta capacità di sacrificare tutto in vista dell'obiettivo. La sera prima era andato a dormire alle tre dopo aver generosamente contribuito a finire un vassoio di tortelli alla crema, uno di chiacchiere, una bottiglia di amaro e una di Mirto.
L'impatto dell'uscita da casa condensava una sensazione simile alla somma di quello che provano la madre (un coro di dolorosi vaffanculo) e il neonato ("Cristo, la luce") nel momento del parto.
Il primo tratto ai Giardini di Porta Venezia è stato qualcosa di molto più simile allo short track che alla corsa. Una lastra unica di neve e ghiaccio. Una delle poche forme di vita presenti in quell'ecosistema ostile era Riccardo. Incontrato mentre pattinava con in testa il sogno della sua prima mezza, la prossima Stramilano. Ah, Riccardo sarà anche uno dei nostri staffettisti alla Milano City Marathon, quindi ve lo presenterò meglio un'altra volta.
Lo saluto e lo lascio nella sua tundra, diretto altrove. Punto sul Parco Sempione e lo trovo nel medesimo stato mortifero dei Giardini. Lo aggiro lungo la ciclabile, miracolosamente pulita. Punto verso la ex Fiera, correndo in uno scenario da insediamento abbandonato siberiano, con scheletri di palazzi in costruzione ricoperti di ghiaccio. Il prossimo traguardo da raggiungere è la Montagnetta di San Siro. Oggi sì che ha la dignità, e non solo il nome, della montagna. La circumnavigo con i piedi nella neve quasi fresca (anche qui, nessuno si è premurato di pulire i sentieri) osservando decine di puffi in slitta, più spesso ribaltati che dritti sulla slitta in effetti, inseguiti da genitori già pentiti giù per i pendii innevati. Incredibilmente non sono testimone di nessun incontro ravvicinato tra bambino, slitta e albero. Peccato.
Scoraggiato dall' impraticabilità dei parchi milanesi - ma tanto ormai sono lì - mi dirigo verso Trenno, girando prima attorno all'Ippodromo. Arrivati a Trenno, la magia. Una distesa unica di neve ma, miracolosamente, sentieri puliti, agibili, liberi.
Certo, la magia ha il suo prezzo. Trenno è al limite estremo di Milano e niente lo protegge dalle sferzate di vento gelido. Se nel resto della città faceva freddo, qui si gela seriamente. Meno dieci gradi è una stima credibile della temperatura in quel momento. Ma l'entusiasmo di trovare un parco di qui qualcuno s'è occupato, fa sopportare tutto. Si corre fianco a fianco, runners sui sentieri e sciatori di fondo sui prati. La scena ha il suo fascino, nonostante tutto. Lascio Trenno con una ventina abbondante di chilometri ormai percorsi e torno a riscaldarmi tra i premurosi scarichi delle macchine, verso il cuore della città.
Regalo "un inchino" alla mia vecchia casa di Via Osoppo, e ritorno verso la ciclabile che passa da Piazza Giulio Cesare. Quella almeno ho capito che è pulita e la seguo tutta, fino al Parco Solari. Il quale, in sintonia con i suoi colleghi del centro di Milano, è in uno stato pietoso, vittima del ghiaccio. Arranco e arrivo in Porta Genova, omaggio anche il Naviglio Grande, altro luogo culto della mia formazione, stavolta podistica, e punto verso Ticinese, Duomo, Corso Venezia...arrivo ai Bastioni, con l'odore di casa sotto mano e l'idea del vapore della doccia che mi appanna i pensieri e scopro che mi manca ancora un km. Porca Tr#@~.
I Giardini, come detto, sono quasi impraticabili e allora non mi resta che fare avanti e indietro la ciclabile dei Bastioni. Ci voleva una bella salita infilata nell'ultimo km: ricorda il percorso di Roma, con quel maledetto curvone ascendente attorno al Colosseo, a 500 mt dal traguardo.
Beh è fatta. Oggi, a due giorni da quell'impresa, coltivo fieramente un raffreddore totale, marmoreo, che impedisce l'entrata o l'uscita di qualsiasi spiffero da e per il mio corpo. Sopravvivo grazie alle branchie che mi sono aperto sul collo usando una graffetta, come insegna MacGyver.
Domani parto per Berlino, che è un posto splendido per svernare e riprendersi da un raffreddore e dal freddo di Milano.
I prossimi aggiornamenti arriveranno da lassù.
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martedì 7 febbraio 2012
lunedì 6 febbraio 2012
Santa Cristina, che frèc!
Domenica scorsa, 5 febbraio 2012, ho corso il winter trail "Sentieri di Santa Cristina".
Preciso subito che Santa Cristina è un luogo. L'affermazione sembrerà banale e superflua. Non lo è per i lettori abituali di Piovono Runners, abituati a mezze maratone dedicate a santi.
Si introducono qui due nuovi concetti su Piovono Runners: winter e trail. Trail vuol dire che la gara si corre prevalentemente su sentieri sconnessi, con salite e discese. Winter vuol dire che il trail si corre di inverno.
Il trail di Santa Cristina è stato decisamente winter. -15° alla partenza.
Il winter trail di Santa Cristina viene presentato in questo modo dagli organizzatori:
La galaverna sugli alberi. Che figata, pensai. E corsi ad iscrivermi. Ma non fu possibile. Non ero stato l'unico a sognare la galaverna. Le iscrizioni erano chiuse. Max 750 posti, esauriti subito. Santa Cristina!, ma non potevano evitare di menzionare la galaverna? Chiunque sarebbe disposto a correre 30km, veloci ma tosti, solo per ammirare la galaverna.
Caso volle che un amico marziano, iscritto, doveva andare fuori Milano per lavoro quel fine settimana. Conoscendo il mio interessamento per la galaverna, mi propose di sostituirlo. Santa Cristina!, accettai all'istante.
Poi nevicò. 50 cm di neve. 150 cm per il sindaco di Roma.
Ma si corre lo stesso? Pensai. Come me lo pensarono in molti e, per magia, sul sito dell'organizzazione comparvero le foto di persone che correvano con il titolo:
L'informazione mi sembrò un po' di parte e il sabato prima chiesi lumi a un luminare del trail: Stefano, marziano, podista, trailer, alpinista, titolare di Born to Run e promotore del Born to Run Trail Team.
"Stefano, ma si corre anche sulla neve?"
"Perché no?"
"30 km???"
"Perché no?"
"Ma ci vuole dell'attrezzatura particolare?"
"Oltre alle scarpe da trail, consiglio di portare le ghette, per evitare che la neve entri nelle scarpe, diventi ghiaccio e, alla fine del trail, ti debbano amputare i piedi."
"Ok. Allora prendo un paio di ghette."
"Eh, le ho finite. Ne avevo otto in negozio, ma le han comprate tutti quelli che corrono i Sentieri di Santa Cristina."
"Santa Cristina, che sfiga!"
"Comunque ho una buona notizia per domani."
"Quale?"
"Ieri le previsioni per la gara davano -16° alla partenza. Oggi -14°."
Compro due gel per rifocillarmi durante la corsa e torno a casa a preparare il bagaglio per il giorno dopo. Oltre alle disposizioni testamentarie.
La sera del sabato la passo in compagnia. Durante una discussione sui miei tempi nella corsa mi produco in un discorso allucinato e sboroneggiante: "10 km li corro in 40 minuti, 21 km in 1 ora 24 minuti, 30 km li corro tranquillamente in 2 ore e 15 minuti. Domani ci saranno un po' di saliscendi, non so esattamente in quanto finisco la gara. Comunque in meno di 2 ore e 30 minuti." "Poffare!" risponde l'interlocutore dissimulando uno sbadiglio.
La mattina di domenica mi presento da Born to Run, in Via Cagnola. Il punto di ritrovo per andare a Santa Cristina con Stefano e Monica. Partiamo allegri e spensierati. In macchina c'è proprio un gran caldo e il termometro esterno segna -5°. Chissà, magari non scende di tanto. In fondo Santa Cristina è in collina, mica in montagna.
Entrati in provincia di Novara, immediatamente, il termometro scende a -12°. Santa Cristina!, pensai.
Immaginavo che non si sarebbe presentato nessuno. Chi è così sciocco da correre 30 km in mezzo alla neve a -15°, la temperatura che troviamo a Santa Cristina(!)?
E invece Santa Cristina(!) è piena. Una piccola frazione di Borgomanero invasa da 750 persone. Podisti pronti ad affrontare l'impresa bardati all'inverosimile.
L'euforia è tanta, la compagnia di Stefano e Monica scalda il cuore. Decido di correre in pantaloncini corti. In fondo sono -15°, non -16°. Se esce il sole anche -14°. E' un freddo secco, non si sente. I polpacci sono coperti dai booster. Ho le calze da trekking. Il busto è coperto da tre strati (di morbidezza). Scoperte restano solo le ginocchia. Ma tanto quelle si scaldano correndo. Anzi, potrebbe essere un ottimo sistema di raffreddamento.
Tutti questi ragionamenti, ragionevoli, si tengono al caldo di un bar, sorseggiando un caffè con Stefano e Monica. Indi mi cambio. Spalmo abbondante vasella nelle zone critiche, lascio la borsa custodita al bar. E mi avvio verso la partenza in pantaloncini corti.
Santa Cristina, che frèc!
Alea iacta est. Cinque minuti dopo si parte, e partiamo.
Parto troppo indietro e i primi 2 km sono a tratti fastidiosi. Il percorso iniziale è in mezzo alla neve, ma si riesce a correre "tranquillamente" in mezzo alle strisce lasciate da macchine e trattori. Per superare bisogna correre in mezzo, dove la neve non è battuta. Supero.
Poi inizia il bosco. In mezzo al bianco non riesco a distinguere nessuna galaverna. In più il percorso è accidentato, bisogna controllare dove si mettono i piedi. Santa Cristina, mi perdo le galaverne!
Il dolore di questa constatazione dura poco. In mezzo al bosco e al gelo, correndo, salendo e scendendo per i sentieri leggermente battuti da chi mi precede, è un gran divertimento. In ogni momento si rischia di scivolare. Bisogna sollevare bene le ginocchia per tirar fuori il piede dalla neve. Il sole filtra dai rami e risplende sul percorso. Che cosa c'è di più bello?
Intorno all'8° km arriva il più bello. Un piccolo guado. Gli organizzatori sono dei geni!
Potrebbe spaventare chiunque tranne me e i pochi altri che hanno visto questo video.
Apprese le tecniche di cui sopra muovo tre passi e sono subito dall'altra parte del guado. Asciutto!
Ok, non era un gran guado.
Le sorprese non finiscono. Arriviamo a un fosso, che bisogna attraversare tre volte scendendo di fondoschiena e risalendo aggrappandosi di tanto in tanto agli alberi. Santa Cristina, che gioia sfregare il fondoschiena sulla neve ghiacciata!
La gioia è incontenibile, al punto che quando vedo Antonio Capasso... mi viene da abbracciarlo.
Ridendo e saltando si arriva al 22° km. Fino a quel momento avevo superato ed ero stato superato, ma non avevo incontrato nessuna donna. D'un tratto, in discesa, sento sbuffare alle mie spalle. Una podista mi chiedeva il passo. Da cavaliere quale sono, mi faccio superare.
Da quel momento in poi, per altri 2 km ce l'ho sempre davanti di poco. Il punto di minima distanza è su una salita impervia, che diventa scala nell'ultimo tratto. E' a quel punto che mi sovviene l'insegnamento di Pepe Carvalho. Il galateo dice che l'uomo deve precedere la donna nelle salite e nelle discese. Le ragioni mi appaiono davanti agli occhi, sulle scale. E siccome sono un cavaliere, finita la salita, la supero. Poi, siccome sono davvero un signore, le lascio 1 minuto di distacco all'arrivo (UAH UAH UAH).
Ma è ancora presto per l'arrivo. Mancano un'altra discesa di fondoschiena a zig zag aggrappandosi a una corda, due/tre salite, chilometri vari su neve fresca e su neve battuta, qualche tratto sull'asfalto a ritmo veloce (Santa Cristina, che liberazione non essere impantanati nella neve!), un paio di curve... Ah, ecco l'arrivo.
Mi giro, retrocorro, urlo, mi rigiro, arrivo.
2 ore 43 minuti e 31 secondi. La previsione di 2 ore e 30 minuti era, effettivamente, da sboroni.
32° classificato. 30° se si escludono le prime due donne. Escludiamole va.
La retrocorsa, l'urlo, l'arrivo. Il cliché non sarebbe completo senza il cibo.
E siccome sono un signore, prima mi vado a cambiare. Mi cambio non tanto perché c'è un freddo che si gela, quanto perché sono un signore.
Nello spogliatoio mi si posiziona accanto un podista memorabile.
Comincia la sua performance con
"uh che piccolo, per fortuna mia moglie non mi vede quando finisco una corsa" (dopo essersi spogliato).
Prosegue con
"no, l'acqua della doccia è finita, ah ah ah" ironico, rivolto a uno che chiedeva se c'era acqua.
Conclude con
"abbiamo la stessa maglia tecnica!" rivolto a me "anche a te fa questo odore fastidioso dopo la corsa?" E mi preme sul naso l'indumento pregno del suo sudore.
Lo shock tattile-olfattivo non mi fa passare la fame e, cambiatomi e disinfettatomi, dirigo le fauci verso il cibo. Le gare serie si riconoscono ai ristori. Santa Cristina ha un ristoro ragguardevole all'arrivo nonché un pasta party. Al ristoro mi riempio di parmigiano, pane e marmellata, pane e nutella, vin brulè. Al pasta party, con Stefano, Monica e Antò, mi cibo di pasta integrale, pane e caprino, dolce. Il tutto innaffiato di Menabrea.
Vin brulè e Menabrea. Santa Cristina, è davvero una gara coi fiocchi!
(nella foto: un survivor. Lo si riconosce dal sorriso cristallizzato dal ghiaccio) |
Si introducono qui due nuovi concetti su Piovono Runners: winter e trail. Trail vuol dire che la gara si corre prevalentemente su sentieri sconnessi, con salite e discese. Winter vuol dire che il trail si corre di inverno.
Il trail di Santa Cristina è stato decisamente winter. -15° alla partenza.
Il winter trail di Santa Cristina viene presentato in questo modo dagli organizzatori:
Nelle verdeggianti colline dell’alto novarese, una volta terre di vigneti ora di boschi di robinia, castagno e querce, con il Monte Barone e il Monte Rosa che fanno da guardiani, si corre la “SENTIERI DI SANTA CRISTINA".
Le competizioni si svolgono su percorso collinare lungo strade sterrate e single track, attraverso boschi, campi e vigneti con i loro caratteristici “casotti”, passando per le belle cascine della frazione.
Si sconfina anche nei vicini paesi, costeggiando un maneggio dove il galoppare dei cavalli dà ritmo alla vostra corsa e poi più avanti la bella cascina Eurosia.
I continui saliscendi, l’attraversamento di guadi, tratti con pietraie e acquitrini, il divertente pistino dei ragazzi del motocross, rendono il percorso vivace e mai noioso… veloce ma tosto.
Non distraetevi, ma quando potete, assaporate il profumo del bosco, i colori dell’inverno, le nebbie mattutine, la galaverna sugli alberi e se alzate gli occhi vi accorgete che le nostre maestose montagne sono sempre là a farvi compagnia da lontano…
La galaverna sugli alberi. Che figata, pensai. E corsi ad iscrivermi. Ma non fu possibile. Non ero stato l'unico a sognare la galaverna. Le iscrizioni erano chiuse. Max 750 posti, esauriti subito. Santa Cristina!, ma non potevano evitare di menzionare la galaverna? Chiunque sarebbe disposto a correre 30km, veloci ma tosti, solo per ammirare la galaverna.
Caso volle che un amico marziano, iscritto, doveva andare fuori Milano per lavoro quel fine settimana. Conoscendo il mio interessamento per la galaverna, mi propose di sostituirlo. Santa Cristina!, accettai all'istante.
Poi nevicò. 50 cm di neve. 150 cm per il sindaco di Roma.
Ma si corre lo stesso? Pensai. Come me lo pensarono in molti e, per magia, sul sito dell'organizzazione comparvero le foto di persone che correvano con il titolo:
VISTO CHE BELLI I SENTIERI IMBIANCATI?
L'informazione mi sembrò un po' di parte e il sabato prima chiesi lumi a un luminare del trail: Stefano, marziano, podista, trailer, alpinista, titolare di Born to Run e promotore del Born to Run Trail Team.
"Stefano, ma si corre anche sulla neve?"
"Perché no?"
"30 km???"
"Perché no?"
"Ma ci vuole dell'attrezzatura particolare?"
"Oltre alle scarpe da trail, consiglio di portare le ghette, per evitare che la neve entri nelle scarpe, diventi ghiaccio e, alla fine del trail, ti debbano amputare i piedi."
"Ok. Allora prendo un paio di ghette."
"Eh, le ho finite. Ne avevo otto in negozio, ma le han comprate tutti quelli che corrono i Sentieri di Santa Cristina."
"Santa Cristina, che sfiga!"
"Comunque ho una buona notizia per domani."
"Quale?"
"Ieri le previsioni per la gara davano -16° alla partenza. Oggi -14°."
Compro due gel per rifocillarmi durante la corsa e torno a casa a preparare il bagaglio per il giorno dopo. Oltre alle disposizioni testamentarie.
La sera del sabato la passo in compagnia. Durante una discussione sui miei tempi nella corsa mi produco in un discorso allucinato e sboroneggiante: "10 km li corro in 40 minuti, 21 km in 1 ora 24 minuti, 30 km li corro tranquillamente in 2 ore e 15 minuti. Domani ci saranno un po' di saliscendi, non so esattamente in quanto finisco la gara. Comunque in meno di 2 ore e 30 minuti." "Poffare!" risponde l'interlocutore dissimulando uno sbadiglio.
La mattina di domenica mi presento da Born to Run, in Via Cagnola. Il punto di ritrovo per andare a Santa Cristina con Stefano e Monica. Partiamo allegri e spensierati. In macchina c'è proprio un gran caldo e il termometro esterno segna -5°. Chissà, magari non scende di tanto. In fondo Santa Cristina è in collina, mica in montagna.
Entrati in provincia di Novara, immediatamente, il termometro scende a -12°. Santa Cristina!, pensai.
Immaginavo che non si sarebbe presentato nessuno. Chi è così sciocco da correre 30 km in mezzo alla neve a -15°, la temperatura che troviamo a Santa Cristina(!)?
E invece Santa Cristina(!) è piena. Una piccola frazione di Borgomanero invasa da 750 persone. Podisti pronti ad affrontare l'impresa bardati all'inverosimile.
Valerio, Monica e Stefano stanno stretti nella foto per evitare l'assideramento |
Tutti questi ragionamenti, ragionevoli, si tengono al caldo di un bar, sorseggiando un caffè con Stefano e Monica. Indi mi cambio. Spalmo abbondante vasella nelle zone critiche, lascio la borsa custodita al bar. E mi avvio verso la partenza in pantaloncini corti.
Santa Cristina, che frèc!
Alea iacta est. Cinque minuti dopo si parte, e partiamo.
Parto troppo indietro e i primi 2 km sono a tratti fastidiosi. Il percorso iniziale è in mezzo alla neve, ma si riesce a correre "tranquillamente" in mezzo alle strisce lasciate da macchine e trattori. Per superare bisogna correre in mezzo, dove la neve non è battuta. Supero.
Poi inizia il bosco. In mezzo al bianco non riesco a distinguere nessuna galaverna. In più il percorso è accidentato, bisogna controllare dove si mettono i piedi. Santa Cristina, mi perdo le galaverne!
Il dolore di questa constatazione dura poco. In mezzo al bosco e al gelo, correndo, salendo e scendendo per i sentieri leggermente battuti da chi mi precede, è un gran divertimento. In ogni momento si rischia di scivolare. Bisogna sollevare bene le ginocchia per tirar fuori il piede dalla neve. Il sole filtra dai rami e risplende sul percorso. Che cosa c'è di più bello?
Intorno all'8° km arriva il più bello. Un piccolo guado. Gli organizzatori sono dei geni!
Potrebbe spaventare chiunque tranne me e i pochi altri che hanno visto questo video.
Apprese le tecniche di cui sopra muovo tre passi e sono subito dall'altra parte del guado. Asciutto!
Ok, non era un gran guado.
Le sorprese non finiscono. Arriviamo a un fosso, che bisogna attraversare tre volte scendendo di fondoschiena e risalendo aggrappandosi di tanto in tanto agli alberi. Santa Cristina, che gioia sfregare il fondoschiena sulla neve ghiacciata!
La gioia è incontenibile, al punto che quando vedo Antonio Capasso... mi viene da abbracciarlo.
tan-tan tan-tan... |
...tan-tan tan-tan... |
...ta-raan ta-raaan |
Da quel momento in poi, per altri 2 km ce l'ho sempre davanti di poco. Il punto di minima distanza è su una salita impervia, che diventa scala nell'ultimo tratto. E' a quel punto che mi sovviene l'insegnamento di Pepe Carvalho. Il galateo dice che l'uomo deve precedere la donna nelle salite e nelle discese. Le ragioni mi appaiono davanti agli occhi, sulle scale. E siccome sono un cavaliere, finita la salita, la supero. Poi, siccome sono davvero un signore, le lascio 1 minuto di distacco all'arrivo (UAH UAH UAH).
(nella foto: UAH UAH UAH) |
Mi giro, retrocorro, urlo, mi rigiro, arrivo.
2 ore 43 minuti e 31 secondi. La previsione di 2 ore e 30 minuti era, effettivamente, da sboroni.
(qui la classifica generale) |
La retrocorsa, l'urlo, l'arrivo. Il cliché non sarebbe completo senza il cibo.
E siccome sono un signore, prima mi vado a cambiare. Mi cambio non tanto perché c'è un freddo che si gela, quanto perché sono un signore.
Nello spogliatoio mi si posiziona accanto un podista memorabile.
Comincia la sua performance con
"uh che piccolo, per fortuna mia moglie non mi vede quando finisco una corsa" (dopo essersi spogliato).
Prosegue con
"no, l'acqua della doccia è finita, ah ah ah" ironico, rivolto a uno che chiedeva se c'era acqua.
Conclude con
"abbiamo la stessa maglia tecnica!" rivolto a me "anche a te fa questo odore fastidioso dopo la corsa?" E mi preme sul naso l'indumento pregno del suo sudore.
Lo shock tattile-olfattivo non mi fa passare la fame e, cambiatomi e disinfettatomi, dirigo le fauci verso il cibo. Le gare serie si riconoscono ai ristori. Santa Cristina ha un ristoro ragguardevole all'arrivo nonché un pasta party. Al ristoro mi riempio di parmigiano, pane e marmellata, pane e nutella, vin brulè. Al pasta party, con Stefano, Monica e Antò, mi cibo di pasta integrale, pane e caprino, dolce. Il tutto innaffiato di Menabrea.
(Nella foto: Monica, Valerio col dolce in bocca, Filippo il vincitore, Stefano (x2), la Bandiera) |
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