martedì 7 febbraio 2012

La tundra, la taiga e la Santa Maria

C'era una volta, un mese fa, un runner sulle soglie dell'autocommiserazione, fiaccato da influenze e mollezze natalizie, che il 9 gennaio interrompeva al 24esimo km il suo allenamento da 28 e mestamente si arrendeva, chiedendo un passaggio al tram per essere riportato a casa dalla Darsena, dove si era arenato come una nutria malferma.

Mancavano ormai meno di due mesi alla Maratona di Treviso e le premesse erano le peggiori che si potessero immaginare. Lo spread tra quel runner reale che si allenava il 9 gennaio e quel runner ipotetico che avrebbe dovuto portare a casa dignitosamente i 42 km e 195 mt  nella Marca era altissimo.
Merkel e Sarkozy se la ridevano di gusto.

Poi scattò qualcosa. La liberalizzazione dell'orgoglio, probabilmente. Il piano anti crisi muscolare, forse. Sta di fatto che quel runner arrancante nei tre weekend successivi ha infilato un 30, un 28 e un 32 non dico con scioltezza, ma con un crescendo incoraggiante di performance.

Domenica lo aspettava un allenamento mai tentato, i 35 km. Alla Maratona di Roma era andato con alle spalle al massimo un 32 e con tanto entusiasmo. Al 36esimo km si era inchiodato e aveva fatto gli ultimi sei con  il passo euforico dell'elefante che si avvia a scegliersi il loculo in cui morire.
Urgeva quindi arrivare meglio preparati, stavolta. Spostare il limite in allenamento da 32 a 35 poteva significare dilazionare il momento di crisi dal 36 al 39 (il runner ha fatto il classico e questi teoremi sono il massimo di raffinatezza matematica a cui riesce ad arrivare). La crisi al 39esimo è già una roba mica male, perchè a quel punto sei praticamente arrivato e sia mai che l'odore del traguardo possa trascinarti fin lì nonostante il serbatoio vuoto.

Ovviamente domenica, il giorno dei 35, era stato segnalato da tutti, da Giuliacci come da Nostradamus, come il giorno più freddo del periodo più freddo dell'anno. Quindi non si poteva dire di non sapere a cosa si andava incontro. Ma c'è stato di più. Una sorpresa. Nevicava pure.
Benissimo.
Il runner si era comunque preparato con la sua consueta capacità di sacrificare tutto in vista dell'obiettivo. La sera prima era andato a dormire alle tre dopo aver generosamente contribuito a finire un vassoio di tortelli alla crema, uno di chiacchiere, una bottiglia di amaro e una di Mirto.

L'impatto dell'uscita da casa condensava una sensazione simile alla somma di quello che provano la madre (un coro di dolorosi vaffanculo) e il neonato ("Cristo, la luce") nel momento del parto.
Il primo tratto ai Giardini di Porta Venezia è stato qualcosa di molto più simile allo short track che alla corsa. Una lastra unica di neve e ghiaccio. Una delle poche forme di vita presenti in quell'ecosistema ostile era Riccardo. Incontrato mentre pattinava con in testa il sogno della sua prima mezza, la prossima Stramilano. Ah, Riccardo sarà anche uno dei nostri staffettisti alla Milano City Marathon, quindi ve lo presenterò meglio un'altra volta.
Lo saluto e lo lascio nella sua tundra, diretto altrove. Punto sul Parco Sempione e lo trovo nel medesimo stato mortifero dei Giardini. Lo aggiro lungo la ciclabile, miracolosamente pulita. Punto verso la ex Fiera, correndo in uno scenario da insediamento abbandonato siberiano, con scheletri di palazzi in costruzione ricoperti di ghiaccio. Il prossimo traguardo da raggiungere è la Montagnetta di San Siro. Oggi sì che ha la dignità, e non solo il nome, della montagna. La circumnavigo con i piedi nella neve quasi fresca (anche qui, nessuno si è premurato di pulire i sentieri) osservando decine di puffi in slitta, più spesso ribaltati che dritti sulla slitta in effetti, inseguiti da genitori già pentiti giù per i pendii innevati. Incredibilmente non sono testimone di nessun incontro ravvicinato tra bambino, slitta e albero. Peccato.
Scoraggiato dall' impraticabilità dei parchi milanesi - ma tanto ormai sono lì - mi dirigo verso Trenno, girando prima attorno all'Ippodromo. Arrivati a Trenno, la magia. Una distesa unica di neve ma, miracolosamente, sentieri puliti, agibili, liberi.
Certo, la magia ha il suo prezzo. Trenno è al limite estremo di Milano e niente lo protegge dalle sferzate di vento gelido. Se nel resto della città faceva freddo, qui si gela seriamente. Meno dieci gradi è una stima credibile della temperatura in quel momento. Ma l'entusiasmo di trovare un parco di qui qualcuno s'è occupato, fa sopportare tutto. Si corre fianco a fianco, runners sui sentieri e sciatori di fondo sui prati. La scena ha il suo fascino, nonostante tutto. Lascio Trenno con una ventina abbondante di chilometri ormai percorsi e torno a riscaldarmi tra i premurosi scarichi delle macchine, verso il cuore della città.
Regalo "un inchino" alla mia vecchia casa di Via Osoppo, e ritorno verso la ciclabile che passa da Piazza Giulio Cesare. Quella almeno ho capito che è pulita e la seguo tutta, fino al Parco Solari. Il quale, in sintonia con i suoi colleghi del centro di Milano, è in uno stato pietoso, vittima del ghiaccio. Arranco e arrivo in Porta Genova, omaggio anche il Naviglio Grande, altro luogo culto della mia formazione, stavolta podistica, e punto verso Ticinese, Duomo, Corso Venezia...arrivo ai Bastioni, con l'odore di casa sotto mano e l'idea del vapore della doccia che mi appanna i pensieri e scopro che mi manca ancora un km. Porca Tr#@~.
I Giardini, come detto, sono quasi impraticabili e allora non mi resta che fare avanti e indietro la ciclabile dei Bastioni. Ci voleva una bella salita infilata nell'ultimo km: ricorda il percorso di Roma, con quel maledetto curvone ascendente attorno al Colosseo, a 500 mt dal traguardo.

Beh è fatta. Oggi, a due giorni da quell'impresa, coltivo fieramente un raffreddore totale, marmoreo, che impedisce l'entrata o l'uscita di qualsiasi spiffero da e per il mio corpo. Sopravvivo grazie alle branchie che mi sono aperto sul collo usando una graffetta, come insegna MacGyver.
Domani parto per Berlino, che è un posto splendido per svernare e riprendersi da un raffreddore e dal freddo di Milano.
I prossimi aggiornamenti arriveranno da lassù.

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