Una dieta mirata
(pranzo del sabato: menù degustazione da otto portate in un meraviglioso ristorante nel vicentino)
Evitare i grassi
(un tagliere di salumi infinito all'aperitivo)
E gli alcolici
(sei a Treviso e vuoi non farti uno spritz?!)
Studiare il percorso da casa alla partenza, per evitare imprevisti
(perdersi la mattina della domenica alle 7 nella campagna trevigiana, rompere i coglioni al tuo ospite telefonandogli per dirgli che non sai dove ti trovi, farti telecomandare nella direzione giusta, guidare a cannone per recuperare il tempo perduto e ritrovarsi a fare un testacoda di 360° in una rotonda fortunatamente vuota a quell'ora)
Arrivare puntuali al luogo di ritrovo
(dopo le disavventure di cui sopra piombo sul luogo di partenza delle navette alle 7.35, il penultimo bus buono per raggiungere Vittorio Veneto - luogo della partenza della gara - mi parte davanti, resta l'ultimo previsto per le 7.45, che non arriva, verso le 8 io e un centinaio di altri cristiani iniziamo a preoccuparci, ne arriva uno alle 8.15 preso d'assalto tipo diligenza, rimango a terra, dopo altri cinque minuti ne compaiono altri due, i podisti rimasti iniziano a correre attraverso questo enorme parcheggio nella speranza di indovinare dove il bus si sarebbe fermato per salirci per primi, il guidatore terrorizzato dall'orda famelica si ferma lontano da noi, tutti si accaniscono per salire come se fosse l'ultima scialuppa del Titanic...riusciamo a salire tutti, si parte)
Arrivare alla partenza in tempo per svolgere alcuni salutari esercizi di stretching e un po' di riscaldamento
(ovviamente arriviamo a Vittorio Veneto in ritardo clamoroso, ci cambiamo all'aperto come profughi, il camion che deve riportare le nostre sacche all'arrivo da Treviso è già partito, rimane un furgoncino scassato dedicato ai "ritardatari" con un tizio svogliato che ci dice che - forse per punizione - non avremmo trovato le nostre sacche all'arrivo ma in una scuola a 500 mt dal traguardo, pensieri felici dei presenti all'idea di doversi fare un altro mezzo chilometro dopo i quarantadue della Maratona, pensieri e bestemmie abortite sul nascere perchè ormai è tardi, corsa verso la partenza, allacciarsi le scarpe, pisciare, non pisciare sulle scarpe, uno dietro un albero sta cagando - l'emozione gioca brutti scherzi, a volte - stretching di trenta secondi come se ci stessimo preparando per una passeggiatina di un paio di chilometri, entriamo nelle gabbie, si parte)
Comincia la gara e tutte le (dis)avventure di cui sopra si dimenticano.
Parto con Enzo, il collega-amico-maratoneta più esperto di me che mi ha motivato di brutto nelle settimane precedenti e mi ha convinto a pedinare i pacer delle 3 ore e 30'.
Per chi non lo sapesse i pacer sono dei tizi a cui piace correre con un palloncino legato alle spalle, tipo il nonno di Up, e che si impegnano a portarti al traguardo nel tempo indicato a penna sul loro palloncino.
I pacer sono un ottimo servizio, dicono.
I pacer sono degli assassini, dico io.
E io sono uno sprovveduto, aggiungo sempre io.
Praticamente, sempre per chi non lo sapesse, questi signori devono assicurare a TUTTI di arrivare sotto il tempo stabilito. Quindi, nel mio caso, il pacer delle 3h30' deve far varcare a tutti la linea del traguardo entro quel tempo, che lui calcola dallo sparo della partenza. Ovviamente, invece, ogni podista calcola il proprio tempo di percorrenza dal momento in cui varca la linea di partenza cosa che spesso accade, soprattutto negli eventi più grandi, svariate decine di secondi (se non minuti) dopo lo sparo, visto il tempo fisiologico che ci vuole a far defluire il serpentone dei partenti.
Nel mio caso, ad esempio, avevo una quarantina di secondi di ritardo da recuperare se volevo stare sotto il tempo del pacer.
Aggiungete a questo il fatto che il pacer si crea comunque un po' di margine di sicurezza per non arrivare impiccato agli ultimi chilometri.
Il risultato è che un ritmo da 4'58'' al km, che è quello che bisogna tenere per chiudere una maratona in 3h30'', stando con il pacer è diventato nei primi km un qualcosa che stava sotto i 4'50'' e successivamente s'è un po' chetato ma rimanendo sempre attorno ai 4'54'' circa.
Che significa una mazzata, a lungo andare, per uno che, come me, si era dato come obiettivo di tentare un ritmo da 5'-5'05'' al km.
Ma chi se lo incula il concetto di "lungo andare" all'inizio, giusto? Con ancora in corpo l'adrenalina del testacoda e dell'assalto armato ai pullman, parto come un treno dietro al vecchietto di Up e accanto ad Enzo.
Gianluca Boccanera Grande Cri!! In bocca al lupo e qualsiasi cosa succeda PARTI PIANO!!!
Mi aveva scritto saggiamente Gianluca due giorni prima.
Scusa, Gianlu.
Sono ancora in quell'infanzia - un po' canina - della corsa in cui se vedo un pallone (o un palloncino) lo inseguo.
Enzo è incuffiato in un mondo di suoni che lo motivano, io mi piazzo nel cuore del gruppone che segue il pacer e ascolto i discorsi degli altri. C'è una nana malefica alta un metro e venti che parla in continuazione. La ritroverò dopo il traguardo, stesa ad annaspare su una barella. Eh, cazzo, un po' ti sta bene: mezzora a raccontare al nonnino di Up di quanto era figo correre a NY,e quanto uno dovrebbe farlo almeno una volta e quante volte hai corso a Parigi...e vaffanculo. Sto correndo ai limiti delle mie possibilità nel mezzo di una campagna nella quale le maggiori distrazioni sono rappresentate da qualche capannone industriale. E tu mi parli del ponte di Verrazzano.
Io intanto corro, che tanto alla fine sono lì per quello.
Si palesano un paio di dolorini (alluce sinistro, polpaccio destro), ma non li ascolto, sono sovrastati dalla voce della nana e dalla mia ansia da prestazione.
Il percorso è vero, è molto veloce. Asfaltato, lineare, in leggera discesa. Però è di una monotonia sconfortante. Se quello che si cerca è la pace contemplativa, la dispersione della coscienza o semplicemente il sonno, la campagna ininterrottamente piatta è l'ideale. Se cerchi motivazione adrenaliniche per correre o la distrazione dallo sforzo, sei capitato nel posto sbagliato.
Indi per cui il consiglio è: scegliete gare così quando già vi conoscete bene come podisti, quando sapete che potete farcela da soli, quando puntate un obiettivo specifico e quello vi basta. Non se cercate un supporto nella varietà del paesaggio o sperate in un'esplosione di scenari che vi facciano dimenticare la fatica. Finireste per implodere voi.
A Treviso c'è però qualcosa di speciale, che ti sostiene: il pubblico. C'è tantissima gente, lungo tutto il percorso. E non sono lì a smadonnare in attesa che si liberi l'incrocio, come a Milano. Non ti guardano nemmeno con un distratto e perverso interesse entomologico, come in molti altri posti d'Italia. No, lì ti applaudono, ti incitano, ti incoraggiano, ti fanno i complimenti. Organizzano persino banchetti abusivi di rifornimento: ho visto un gruppo di attempate signore che offrivano frutta e, più avanti verso il 40°km, un gruppo di ragazzi che distribuiva Coca Cola (sull'efficacia di quest'ultima nello sprint finale si può discutere, ma il gesto era carino comunque).
Io intanto corro, che tanto alla fine sono lì per quello.
Si palesano un paio di dolorini (alluce sinistro, polpaccio destro), ma non li ascolto, sono sovrastati dalla voce della nana e dalla mia ansia da prestazione.
Il percorso è vero, è molto veloce. Asfaltato, lineare, in leggera discesa. Però è di una monotonia sconfortante. Se quello che si cerca è la pace contemplativa, la dispersione della coscienza o semplicemente il sonno, la campagna ininterrottamente piatta è l'ideale. Se cerchi motivazione adrenaliniche per correre o la distrazione dallo sforzo, sei capitato nel posto sbagliato.
Indi per cui il consiglio è: scegliete gare così quando già vi conoscete bene come podisti, quando sapete che potete farcela da soli, quando puntate un obiettivo specifico e quello vi basta. Non se cercate un supporto nella varietà del paesaggio o sperate in un'esplosione di scenari che vi facciano dimenticare la fatica. Finireste per implodere voi.
A Treviso c'è però qualcosa di speciale, che ti sostiene: il pubblico. C'è tantissima gente, lungo tutto il percorso. E non sono lì a smadonnare in attesa che si liberi l'incrocio, come a Milano. Non ti guardano nemmeno con un distratto e perverso interesse entomologico, come in molti altri posti d'Italia. No, lì ti applaudono, ti incitano, ti incoraggiano, ti fanno i complimenti. Organizzano persino banchetti abusivi di rifornimento: ho visto un gruppo di attempate signore che offrivano frutta e, più avanti verso il 40°km, un gruppo di ragazzi che distribuiva Coca Cola (sull'efficacia di quest'ultima nello sprint finale si può discutere, ma il gesto era carino comunque).
Io intanto continuo a correre, che tanto alla fine sono sempre lì per quello.
Arrivo alla Mezza con tempi non umani, per me: sotto 1h44', che significa una proiezione sotto le 3h28' al traguardo. Inizio a capire che no potrò reggere quel ritmo ancora per molto. Nel frattempo una tizia, accanto a me nel gruppo dei seguaci del pacer, tira fuori un cellulare dalla tasca e inizia a chiacchierare con qualcuno, annunciandogli che eravamo arrivati alla Mezza, che lei stava bene, che il tempo era bello... Ma Cristo.
Ho odiato pure lei, quasi quanto la nana.
Tra il 20° e il 30° inizio lentamente a ritrovarmi nella terra di nessuno della solitudine. Enzo si allontana all'indietro, per lui non è tanto giornata. Il nonnino di Up e i suoi nipoti si allontanano in avanti, sfilacciandosi e perdendo di km in km podisti rallentanti, che si staccano dal gruppo come stelle filanti. Io sono uno di quelli. Uno che ha capito che a questo ritmo a Treviso non ci arriva. Cerco di settarmi sui 5'/km.
Quando arrivo ai 30' sono passate 2 ore e 28 minuti. E' una bella notizia. Significa che, rispetto a un ritmo ipotetico sui 5'/km, ho un margine di 2 minuti da giocarmi negli ultimi 12 km per arrivare comunque entro le 3 ore e trenta.
Al 35° decido (le mie gambe decidono) che è arrivato il momento di giocarsi il primo bonus. Mi metto a passeggiare nei pressi del ristoro, sgranocchiando due biscotti e bevendo dell'acqua. Mi si avvicina un tipo.
Ha lo sguardo della mucca al pascolo. O dello juventino allo stadio. Dietro le iridi vagamente azzurre, l'attività cerebrale è assente.
Ci parliamo. Questo è il resoconto accurato del nostro dialogo:
Lui: "Shnvfg hfff dolore agfrrr"
Io: "Eh sì"
Lui: "Errrrrrrgghhjkl uhmp faccio più"
Io: " Anche a me fanno un po' male le gambe, soprattutto i polpacci"
Lui: "Drvessxxsj cammino kutfg"
Io: " Beh, ciao"
Ricomincio a correre, dopo questo breve fuori programma sul set di Walking Dead.
Porto a casa ritmi incerti e consapevolmente placidi, un po' sopra i 5' al km. Nessuna crisi stavolta. Le visioni mistiche vissute a Roma negli ultimi km sono impossibili nella concretezza terrosa della campagna trevigiana. La testa c'è, insomma. Le gambe no, ma mi hanno portato fin qui alla grande e non posso avercela con loro. Le assecondo, rallento. Al 38° mi concedo una seconda pausa e mi fermo pure a fare stretching.
Chissenefrega delle 3h30'. Se le faccio adesso, poi nella prossima maratona rimango senza obiettivo. Mi dico così e decido che è una splendida scusa per smetterla di preoccuparsi del tempo finale.
Ri-ricomincio a correre. Al 39°, la svolta. In tutti i sensi.
Svolto un curvone e vedo laggiù, in fondo, le mura di Treviso. E' il momento magico in cui avviene lo scarto. La gara - con il suo corredo di crampi, fatica, km percorsi, attese, timori - si sposta dal corpo, ormai allo stremo, alla testa. Ad una testa felice, carica, che ha capito che è fatta. E non senti più niente, nessun dolore conta più. Il corpo è tornato ad essere solo il mezzo, la testa torna a comandare.
Galoppo in quel lungo vialone, trascinato dalla consapevolezza che la mia piccola impresa è alle porte, che è stato più facile della prima volta, che forse sono diventato un po' più runner quest'anno, che la Maratona non è più la montagna da scalare con l'unico obiettivo di arrivare in qualche modo in cima, ma che è diventata per me una sfida in cui posso darmi degli obiettivi, in cui posso migliorarmi. In cui posso divertirmi.
Entro in Treviso per l'ultimo km nel centro storico. E' tutto particolarmente bello perchè sono praticamente solo. Il percorso, fino ad allora molto lineare, è diventato tortuoso tra le stradine della città vecchia. Spesso in quelle stradine mi trovo da solo. Io e il pubblico. E decido di fare il pagliaccio: saluto tutti, applaudo, mi metto in posa davanti ai fotografi, cerco la Bionda e Nicolò che mi aspettano.
Ultima svolta e mi trovo il traguardo di fronte. Tra me e lui c'è solo un podista.
In quel momento è molto più lento di me, che volo sulle ali dell'entusiasmo. Accarezzo per un attimo l'idea dell'arrivo sprint. Poi decido di guadagnarmi il mio angolo di paradiso. Non ho più obiettivi di tempo, perchè devo dare uno schiaffo virtuale a questo tizio, che ha faticato quanto se non più di me, bruciandolo a dieci metri dal traguardo?
Perchè è un gesto deliziosamente bastardo.
Non ascolto la voce, rallento un pochino, mi accodo a lui e varco la linea d'arrivo.
3 ore, 32 minuti, 34 secondi. Dieci minuti in meno che a Roma.
Una bottiglia d'acqua, una medaglia, un bacio alla Bionda, gesti inconsulti di vittoria per i fotografi: non manca nulla del tipico rituale dell'arrivo.
Spazio alle foto, ho parlato troppo:
E un omaggio finale ai miei due compagni di viaggio. La Bionda è la Bionda, e chevvelodicoaffare, è sempre straordinaria.
Nicolò mi ha ospitato, fatto da guida per Treviso, rifocillato, ha subito una sveglia mattutina violenta e dopo tutto questo mi ha pure trovato un posto che ci facesse pranzare alle tre e mezza del pomeriggio di domenica (dalle mie parti in Monferrato alle tre e mezza stanno già apparecchiando per la cena).
GRAZIE!!!
Arrivo alla Mezza con tempi non umani, per me: sotto 1h44', che significa una proiezione sotto le 3h28' al traguardo. Inizio a capire che no potrò reggere quel ritmo ancora per molto. Nel frattempo una tizia, accanto a me nel gruppo dei seguaci del pacer, tira fuori un cellulare dalla tasca e inizia a chiacchierare con qualcuno, annunciandogli che eravamo arrivati alla Mezza, che lei stava bene, che il tempo era bello... Ma Cristo.
Ho odiato pure lei, quasi quanto la nana.
Tra il 20° e il 30° inizio lentamente a ritrovarmi nella terra di nessuno della solitudine. Enzo si allontana all'indietro, per lui non è tanto giornata. Il nonnino di Up e i suoi nipoti si allontanano in avanti, sfilacciandosi e perdendo di km in km podisti rallentanti, che si staccano dal gruppo come stelle filanti. Io sono uno di quelli. Uno che ha capito che a questo ritmo a Treviso non ci arriva. Cerco di settarmi sui 5'/km.
Quando arrivo ai 30' sono passate 2 ore e 28 minuti. E' una bella notizia. Significa che, rispetto a un ritmo ipotetico sui 5'/km, ho un margine di 2 minuti da giocarmi negli ultimi 12 km per arrivare comunque entro le 3 ore e trenta.
Al 35° decido (le mie gambe decidono) che è arrivato il momento di giocarsi il primo bonus. Mi metto a passeggiare nei pressi del ristoro, sgranocchiando due biscotti e bevendo dell'acqua. Mi si avvicina un tipo.
Ha lo sguardo della mucca al pascolo. O dello juventino allo stadio. Dietro le iridi vagamente azzurre, l'attività cerebrale è assente.
Ci parliamo. Questo è il resoconto accurato del nostro dialogo:
Lui: "Shnvfg hfff dolore agfrrr"
Io: "Eh sì"
Lui: "Errrrrrrgghhjkl uhmp faccio più"
Io: " Anche a me fanno un po' male le gambe, soprattutto i polpacci"
Lui: "Drvessxxsj cammino kutfg"
Io: " Beh, ciao"
Ricomincio a correre, dopo questo breve fuori programma sul set di Walking Dead.
Porto a casa ritmi incerti e consapevolmente placidi, un po' sopra i 5' al km. Nessuna crisi stavolta. Le visioni mistiche vissute a Roma negli ultimi km sono impossibili nella concretezza terrosa della campagna trevigiana. La testa c'è, insomma. Le gambe no, ma mi hanno portato fin qui alla grande e non posso avercela con loro. Le assecondo, rallento. Al 38° mi concedo una seconda pausa e mi fermo pure a fare stretching.
Chissenefrega delle 3h30'. Se le faccio adesso, poi nella prossima maratona rimango senza obiettivo. Mi dico così e decido che è una splendida scusa per smetterla di preoccuparsi del tempo finale.
Ri-ricomincio a correre. Al 39°, la svolta. In tutti i sensi.
Svolto un curvone e vedo laggiù, in fondo, le mura di Treviso. E' il momento magico in cui avviene lo scarto. La gara - con il suo corredo di crampi, fatica, km percorsi, attese, timori - si sposta dal corpo, ormai allo stremo, alla testa. Ad una testa felice, carica, che ha capito che è fatta. E non senti più niente, nessun dolore conta più. Il corpo è tornato ad essere solo il mezzo, la testa torna a comandare.
Galoppo in quel lungo vialone, trascinato dalla consapevolezza che la mia piccola impresa è alle porte, che è stato più facile della prima volta, che forse sono diventato un po' più runner quest'anno, che la Maratona non è più la montagna da scalare con l'unico obiettivo di arrivare in qualche modo in cima, ma che è diventata per me una sfida in cui posso darmi degli obiettivi, in cui posso migliorarmi. In cui posso divertirmi.
Entro in Treviso per l'ultimo km nel centro storico. E' tutto particolarmente bello perchè sono praticamente solo. Il percorso, fino ad allora molto lineare, è diventato tortuoso tra le stradine della città vecchia. Spesso in quelle stradine mi trovo da solo. Io e il pubblico. E decido di fare il pagliaccio: saluto tutti, applaudo, mi metto in posa davanti ai fotografi, cerco la Bionda e Nicolò che mi aspettano.
Ultima svolta e mi trovo il traguardo di fronte. Tra me e lui c'è solo un podista.
In quel momento è molto più lento di me, che volo sulle ali dell'entusiasmo. Accarezzo per un attimo l'idea dell'arrivo sprint. Poi decido di guadagnarmi il mio angolo di paradiso. Non ho più obiettivi di tempo, perchè devo dare uno schiaffo virtuale a questo tizio, che ha faticato quanto se non più di me, bruciandolo a dieci metri dal traguardo?
Perchè è un gesto deliziosamente bastardo.
Non ascolto la voce, rallento un pochino, mi accodo a lui e varco la linea d'arrivo.
3 ore, 32 minuti, 34 secondi. Dieci minuti in meno che a Roma.
a scanso di accuse di brogli, quello che leggete in alto è il tempo dallo sparo, non il mio real :) |
eccolo il real.. |
Una bottiglia d'acqua, una medaglia, un bacio alla Bionda, gesti inconsulti di vittoria per i fotografi: non manca nulla del tipico rituale dell'arrivo.
Spazio alle foto, ho parlato troppo:
E un omaggio finale ai miei due compagni di viaggio. La Bionda è la Bionda, e chevvelodicoaffare, è sempre straordinaria.
Nicolò mi ha ospitato, fatto da guida per Treviso, rifocillato, ha subito una sveglia mattutina violenta e dopo tutto questo mi ha pure trovato un posto che ci facesse pranzare alle tre e mezza del pomeriggio di domenica (dalle mie parti in Monferrato alle tre e mezza stanno già apparecchiando per la cena).
GRAZIE!!!
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