Milano. 17 novembre 2011. Esco dall'ufficio con un pensiero fisso. Correre.
Si sta tornando a fare sul serio. Settimana scorsa 53 km. Questa settimana se ne corrono altri 50. Torna la voglia. Torna la fame di asfalto. Tornano soprattutto le cene in cui posso mangiare QUALSIASI cosa. QUALSIASI cosa.
E' una gioia immensa e voglio condividerla. Chiamo Carletto.
A Milano la temperatura è prossima allo zero. La nebbia entra nei polmoni e negli occhi. Scalpito per uscire, chi non scalpiterebbe?
"Carlè, come stai?"
"Ben.." "vieni a correre?" lo interrompo
"..."
"..."
"OK!"
Vado a prenderlo sotto casa. Mi apre Filippo, il gatto più pacioso del mondo.
"Dove andiamo?" chiede Carletto
"Portami dove vuoi, conosci tu questa zona." E il resto di Milano, penso.
D'un tratto torniamo indietro di 4 mesi. Era il 14 luglio quando Carletto ci guidava per le strade di Milano verso la vittoria. Lo seguivo con ammirazione. Destra, sinistra, destra, sinistra, arrivati.
Non mi dice dove andiamo. C'è solo la nebbia intorno. Destra, sinistra, destra.
"Sai dove siamo?" Chiede.
Non ne ho la più pallida idea, penso.
"Non ne ho la più pallida idea." Rispondo.
Sinistra, destra, sinistra. Lui sa dove stiamo andando.
La Cattedrale. La Scala. Un muro di cemento armato alto 70 metri. Fende la nebbia, d'un tratto. Come sporgesse dal vuoto. Un brivido, e non è freddo. Una vampata di calore, e non sono i fagioli del pranzo.
E' lì. Davanti a noi. Coperto dalla nebbia. Lo Stadio. Il Meazza. San Siro. Lui. L'arena della Beneamata. Di tanto in tanto utilizzato anche da quegli altri.
Vorrei fermarmi. Aspettare l'alba. Aspettare lì e ammirare ogni istante di nebbia muoversi tra le possenti colonne di San Siro.
Fa troppo freddo per fermarsi. Ripartiamo.
"Allora, quand'è che scriviamo il pezzo sui post di Corriere e Gazzetta?"
"Presto, presto."
E all'improvviso eccolo lì, il moloch di cemento e acciaio ti osserva
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