Versione ufficiale: volevo finalmente provare un nuovo tipo di gara. Avevo fatto maratone, mezze maratone, maratone a staffetta e persino robe strane tipo correre da Milano a Pavia per 33km.
Mi mancavano, i 10.000.
I 10.000 sono quella gara che quando la becchi in tv, all'Olimpiade o a qualche meeting estivo d'atletica, pensi che quello è il momento giusto per alzarti ed andare in bagno.
Sette keniani disinvolti sfidano sette maghrebini che non sudano. Dietro di loro di solito arrancano un paio di europei asmatici, un americano che al college l'hanno messo a fare i 10.000 perchè era una sega a football e magari un giapponese, che tanto è felice pure se arriva ultimo.
L'allegra compagine si spara 25 giri di pista. Interminabili.
Per quello la pisciata è concessa.
Quelli dei 10.000 metri sono però anche gli atleti più a rischio.
Perchè mentre loro corrono la gente si annoia, giustamente. Quindi durante i 10.000 organizzano di tutto. Gare di salto, premiazioni di gare precedenti, gare di lanci.
Ecco i lanci. Ogni tanto un giavellotto passa da parte a parte uno degli atleti caucasici (i neri e i maghrebini sono troppo veloci, è statisticamente più improbabile. E il giapponese è troppo basso).
Se nessuno degli atleti dei 10.000 si trasforma in un kebab, è difficile che qualcuno se li caghi prima degli ultimi due-tre giri della gara. 22 giri di indifferenza e 3 di gloria. Tanto voleva correre i 1500, credo pensino molti di loro.
Ah, gli europei poi ovviamente arrivano dieci minuti dopo gli altri e vengono superati anche dal keniano che fa il giro di campo con la bandiera.
Insomma, una disciplina affascinante, che andava provata.
Versione ufficiosa. Non ho mai guardato con attenzione una gara di 10.000. O ero in bagno a pisciare o dormivo. Life is too short.
Il problema è che il mio attuale stato di forma mi impediva di competere su distanze più impegnative.
E poi era un anno che lumavo con tamarrosa invidia la canotta nera cafonissima sfoggiata dai podisti della domenica come me, che l'avevano ricevuta in omaggio partecipando alla Deejay Ten dell'anno scorso.
Immaginate la delusione di sabato, quando sono andato a ritirare il pacco gara e ho scoperto che ci omaggiavano di una banalissima maglietta da corsa con le maniche.
Banalissima, ma almeno di un giallo fluorescente che credo di aver visto solamente addosso alla Polstrada di Vercelli, nelle notti transilvaniche di nebbia totale.
Sabato ho anche visto Carlo, si era appena iscritto. E' stato l'unico momento del weekend di gara in cui l'ho incrociato. E non perchè il giorno dopo abbia corso velocissimo e sia sparito dalla mia vista. No. Però la legge bavaglio mi impedisce di raccontare della sua performance. Chiedete a lui...
Domenica solita sveglia solitaria, silenziosa e bellissima. Esauriti tutti i riti preparatori, esco in strada, arraffo una bici dalle rastrelliere del bike sharing e punto verso l'Arco, luogo di partenza della gara e di ritrovo con gli amici partecipanti (senza per altro essere sicuro di chi avrei beccato perchè le gare della domenica mattina - ma soprattutto i sabati sera che le precedono - sono a fortissimo rischio di assenteismo).
All'Arco, la solita magia delle gare: ci si sveglia quasi all'alba e, in qualunque città ci si trovi, ci si dirige verso il punto di partenza attraversando paesaggi spettrali, desertici, bellissimi. Una specie di safari urbano possibile solo la domenica mattina alle 8.
Poi arrivi al punto di ritrovo e sono tutti lì, gli esseri umani coraggiosamente svegli a quell'ora. Una densità pazzesca, in mezzo a una città che dorme. Questa volta stupiva anche l'impatto cromatico: tanti hanno rispettato le richieste degli organizzatori e hanno indossato la maglia fluorescente ufficiale, quella che trafigge le retine.
Eccolo, il popolo giallo che si sposta dall'Arena all'Arco
Il nostro appuntamento è davanti al Living, perchè siamo dei milanesi fighetti anche la domenica alle 8.
Questo è Gianlu, nella sua personale interpretazione mimica dell'Arco (o è un imitazione di Heather Parisi, non è chiaro)
E vabbè, diciamo che Gianlu ero sicuro di trovarlo. Lui è uno che la corsa la prende sul serio. Sugli altri avevo qualche dubbio in più. Sarà che avevo condiviso con loro la serata antecedente alla gara. Sarà che avevo condiviso con loro anche diverse bottiglie di vino su un terrazzo. Sarà che quando io sono andato a dormire, per loro sembrava fossero ancora solo le 19 e che la serata vera dovesse ancora cominciare.
Sarà, ma è anche vero che Matteo è l'eroe comparso alla gara delle 5.30 del mattino facendo il dritto dalla sera prima, qualche mese fa.
Ed è un'emozione vederlo per la prima volta davanti al Living. Per la prima volta senza una vodka tonic in mano, intendo.
Ha convinto anche lei, Carlotta, con argomenti di grande maturità e spessore tipo "Sei una sega se non vieni", "Cos'è, hai paura?", "Ah, non ce la fai?"
Io ci provo nello stesso modo con Nizza da anni, ma niente da fare. Sulla corsa. Perchè invece questa tattica funziona infallibilmente quando si tratta di convincerlo a bere un Negroni in più.
E quindi eccola qua, iscritta con lui alla 5 km. Rea confessa di aver, forse, raggiunto la distanza dei 5 km solo sommando tutta l'attività podistica della sua vita. Shopping incluso.
Io e Matteo non ci siamo piegati alla dittatura del fluo, ma sfoggiamo le magliette Piovono Runners (dovete fidarvi, perchè il logo è dietro)
Ci infiliamo nelle griglie di partenza, ognuno per la sua gara. L'inizio è una bolgia e io come al solito sono nelle retrovie, con i pe(d)ones. Il risultato è che tra lo sparo e il momento in cui effettivamente varco la linea di partenza passano dai tre ai quattro minuti.
Si risale tutto Corso Sempione, fino a Piazza Firenze. In questo primo tratto si corre più a zig zag che dritti, nel tentativo spasmodico di superare, spinti dall'interruttore dell'agonismo che sia ccende in automatico quando fai partire il cronometro e lo vedi lì, che scorre inesorabile.
Corso Sempione è diviso in due, perchè dovremo percorrerlo anche in senso inverso al ritorno. E' per questo che dopo poco tempo, nell'altro senso di marcia, vediamo i primi atleti che stanno già tornando.
Corrono come il mio Scarabeo 100 non fa ormai da anni.
Passo sotto il Trio Medusa. Li hanno parcheggiati su un palchetto sopraelevato, vestiti da Beatles. Stanno cantando "na na na nananana he-hey linus", sulle note di Hey Jude.
(li incontrerò di nuovo all'ultimo chilometro, circa mezzora dopo, ancora intenti a cantare lo stesso ritornello)
Subito dopo c'è il famigerato, e non furbissimo dal punto di vista organizzativo, punto di confluenza delle due gare. Praticamente a un certo punto la 10km e la 5km si uniscono per fare una parte di percorso in comune.
Peccato che sia come far immettere improvvisamente una strada sterrata percorsa da trattori in un autodromo, durante un gran premio.
Da destra arrivava l'allegro carrozzone della 5 km, con i cani, i bambini e la gente mascherata, da sinistra piombavano gli ossessi della 10 km, dilettanti ma con l'ossessione della performance, non del tutto propensi all'idea di farsi rallentare dalla marea di passeggianti e passeggini.
Superato l'ingorgo, sento che la gamba funziona bene e cerco di mantenere un ritmo alto. Miracolosamente mi riuscirà. Senza rallentamenti, dolori, crisi.
Tutto secondo le più rosee aspettative, tranne il thrilling finale.
Via Melzi d'Eril, ultimissimi metri. Sono in fase ritmo alto, ma tranquillo. Una spizzata al cronometro mi ha rassicurato che ce l'avrei fatta a concludere il tutto stando dentro i 45' e qualcosa (ottimo, dato che provando la distanza in allenamento stavo tra i 47' e i 48' abbondanti). Alla fine della via, incrocio con Corso Sempione, avvisto il gonfiabile rosso. Inequivocabilmente l'arrivo. Altrimenti chi metterebbe mai un gonfiabile rosso, a forma di Arco sotto cui passare? Non può indicare l'ultimo km, perchè quello l'abbiamo già passato.
E' l'arrivo, penso, e io sto facendo un fantastico 45'. Completo la curva di Melzi d'Eril. Il sorriso si accende e si spegne in un secondo, come una lampadina fulminata. La gente davanti a me supera il gonfiabile e continua a correre, svoltando a destra nella parte pedonale di Sempione.
Merda.
Mi riprendo e penso a una cosa sola. Devo restare comunque sotto i 46'. Inizio a mulinare le gambe come un pazzo. Schivo, dribblo, supero. Non guardo il cronometro perchè ho paura. Non guardo il gonfiabile, quello vero dell'arrivo, perchè mi sembra ineluttabilmente lontano. Penso solo a correre, correre, correre. Lo supero in uno slancio folle e, alla cieca, tiro una ditata sul cronometro per stopparlo. Per fermarmi mi schianto contro il tipo davanti a me, che aveva inchiodato subito dopo l'arrivo. L'impatto ha quella consistenza sudaticcia e flaccida della partita di basket di Ben Stiller vs Philip Seymour Hoffman in E Alla fine arriva Polly.
Me ne fotto, tanto facevo già schifo prima di spiaggiarmi su quell'uomo.
Guardo il cronometro, spizzandolo come un mazzo di carte in una partita di poker, una cifra alla volta.
4...
...5...
...5...
...8.
45'58''
Ce l'ho fatta.
Arraffo la medaglia simbolica e in un impeto di generosità che nemmeno Michela Brambilla, la metto al collo di Ugo, che con la padrona Franco (non è un errore di battitura) Moro è venuto a fare il tifo per noi all'arrivo.
Eccoli:
Ribecchiamo anche Teo e Carlotta, reduci da un sorprendente e notevole 29' sulla 5 km. Nemmeno ora Teo ha in mano un vodka tonic e adesso, lo ammetto, un po' mi delude vederlo così.
Gianlu probabilmente è arrivato mezzora fa e ora è a casa e sta pranzando. Già docciato.
Ah, giusto: mancano le prove della riuscita del folle sprint. Eccole: